FOCUS : Iraq, un mosaico in frantumi

Il folle progetto del califfato in Iraq include la pulizia etnica di tutte le minoranze, tra cui comunità cristiane antichissime. E minaccia una convivenza millenaria.

Dici Mosul e dici quattromila anni di civiltà assira, un crogiolo di popoli e fedi, una comunità cristiana antichissima, vivace e missionaria fin dalle origini.È questo patrimonio ad essere a rischio, oggi, in Iraq. Il folle progetto jihadista, che mira alla fondazione di un califfato islamico in Medio Oriente, ha seminato morte e distruzione nelle terre della Mesopotamia, accanendosi proprio sulla Piana di Ninive, cuore pulsante della presenza cristiana nella regione.Secondo l’Onu l’offensiva ha provocato 1.420 vittime. Ma sono almeno 1,6 milioni gli iracheni sfollati e fra questi centinaia di migliaia i cristiani.
Qaraqosh e Telkaif, Qaramlesh e Bashiqa, Tel Eskof e Bartella – alcuni dei quali finiti sui media per i terribili attacchi subiti dai fondamentalisti – sono tutti centri della provincia di Ninive, custodi della fede cristiana in Iraq. A portarcela era stato san Tommaso apostolo, giunto in Mesopotamia dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.). La sua predicazione fu accompagnata da quella di Mar Addai (Taddeo di Edessa) e Mar Mari, considerati i fondatori della Chiesa di Babilonia. Una Chiesa che fu da subito aperta al mondo: missionari partiti dalla regione di Ninive diffusero il messaggio evangelico in tutto il continente asiatico.
La vitalità di quest’antica presenza cristiana è testimoniata da innumerevoli chiese, santuari, monasteri e da tradizioni tramandate nei secoli e tuttora vive. Basti pensare al “digiuno dei niniviti”, citato da Gesù, durante il quale ancora oggi, ogni anno, i cristiani iracheni fanno penitenza per tre giorni in segno di pentimento e conversione.Il tentativo degli jihadisti di fare piazza pulita, rivela la volontà di colpire un modello di convivenza interreligiosa e interculturale che fa parte della stessa identità irachena. Rientra in questo disegno la distruzione della tomba del profeta Giona e del mausoleo di San Giorgio, patrono di Mosul: profeta per gli islamici, santo per i cristiani.
Mosul, antica e colta città di tradizione musulmana sunnita, è sede di una fiorente comunità cristiana caldea (che nella liturgia usa l’antico aramaico), la quale nel 2003 contava 35 mila fedeli, mentre ora, in conseguenza delle violenze della guerra civile, è scesa a tremila. Insieme agli arabi, qui ha sempre abitato anche una consistente comunità di curdi. Nel contesto del conflitto civile si colloca anche la formazione di quella regione autonoma del Kurdistan iracheno, con capitale Erbil, in cui in questi mesi si sono riversate orde di sfollati in fuga dai miliziani dello Stato islamico.
Se il regime baathista di Saddam Hussein aveva soffocato (anche a prezzo di orribili violenze) i vari focolai di tensione tenendo a bada pure l’estremismo anti-cristiano, il rovesciamento di quel regime ha riportato in primo piano tanto la rivalità tra arabi e curdi quanto quella tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Proprio lo scontento tra i sunniti ha costituito una sponda per il dilagare di quel fondamentalismo che oggi vorrebbe eliminare tutte le minoranze, a cominciare dai cristiani.
Ma «l’emigrazione di queste famiglie causerebbe il dissolvimento della storia, del patrimonio e dell’identità del nostro popolo»: lo ha affermato il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, che ha lanciato la campagna “Adotta un cristiano di Mosul”. Per questo la comunità internazionale deve agire in modo deciso per fermare i terroristi, mentre le forze politiche irachene sono chiamate a rifondare un modello di Stato basato sui diritti civili per tutti i cittadini, a prescindere dall’appartenenza etnica e confessionale. Perché, senza i cristiani e le altre minoranze, è l’Iraq stesso che non esisterebbe più.

Articolo tratto da “Mondo e Missione” di Ottobre 2014