Alla vigilia del Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Turchia

Pubblichiamo i passaggi più importanti dell’articolo tratto dal mensile “Mondo e Missione” di Novembre riguardante il viaggio apostolico di Papa Francesco in Turchia, che si terrà da domani, 28 novembre, fino al 30. Qui i dettagli del viaggio.

[…] È nel distretto dedicato alla memoria di Maometto II il che sorge il quartiere di Fener, dal 1601 sede del patriarcato ecumenico ortodosso. Qui Francesco incontrerà il patriarca ecumenico Bartolomeo I, il più importante riferimento spirituale per 250 milioni di fedeli ortodossi nel mondo, oltre che guida della sparuta comunità dei rum, i cittadini turchi di origine greca. La visita papale, che si aprirà con l’incontro ufficiale con le autorità statali ad Ankara, coinciderà con la festa di sant’Andrea, il 30 novembre, ricorrenza solenne per la Chiesa ortodossa ed evento importante sotto il profilo ecumenico: tradizionalmente, per l’occasione una delegazione della Santa Sede si reca a Istanbul, così come ogni 29 giugno una rappresentanza del patriarcato prende parte alla celebrazione nella festa dei santi Pietro e Paolo.
«Questa visita rappresenta un evento estremamente importante sia a livello ecumenico, sia come gesto di solidarietà a noi cristiani di Turchia e sia, ancora, per la sua portata simbolica più generale, vista l’autorevolezza di una personalità come Papa Francesco, il cui messaggio di dialogo e la cui semplicità e umanità sono molto apprezzati dalla società e dai mass media turchi». Laki Vingas, esponente della comunità greco ortodossa e rappresentante eletto delle 166 Fondazioni delle minoranze non musulmane di Turchia, non nasconde l’entusiasmo. Per lui è la presenza stessa di Francesco in Turchia, in un momento in cui le tensioni che stanno sconvolgendo l’area travalicano paurosamente i confini nazionali, ad avere un significato forte. «Intorno a noi imperversa la violenza e ciò che accade ci tocca doppiamente, visto che cent’anni fa le nostre comunità hanno sperimentato lo stesso dolore che vediamo oggi in Siria e in Iraq: centinaia di migliaia di persone costrette a lasciare le proprie case e le proprie radici sulla base dell’etnia e della religione. Mi auguro che il Papa possa aiutare la nostra società a riflettere sul fatto che vivere insieme, nella pluralità di culture e fedi, non è un rischio ma una sfida che ci chiede di essere creativi per costruire il bene comune».Un tema particolarmente urgente per chi, come i cristiani di Turchia – 150 mila in tutto su 75 milioni di abitanti, – vive con apprensione l’incertezza sul futuro: «La nostra situazione demografica, come comunità greco-ortodossa, è critica e questo mette a rischio un enorme patrimonio linguistico, culturale e religioso», sostiene Vingas. «Per questo abbiamo bisogno di supporto politico per superare alcuni problemi storici, in primo luogo quello che riguarda l’autorizzazione a riaprire le nostre scuole: un incentivo fondamentale per evitare che le famiglie se ne vadano e per aiutare quelle che vorrebbero tornare nelle loro terre, da cui erano emigrate negli scorsi decenni».
La realtà dell’emigrazione dei cristiani “storici” è al centro anche della riflessione del vicario apostolico di Istanbul, monsignor Louis Pelâtre. «Noi cattolici viviamo i limiti della nostra condizione di minoranza. Ma c’è un’altra caratteristica che ci contraddistingue, ossia la pluralità: la nostra conferenza episcopale include, oltre ai latini, i cattolici orientali (armeni, siriaci e caldei). La presenza di questi ultimi è aumentata in seguito all’arrivo di numerosi profughi iracheni. La crescita economica del Paese ha richiamato immigrati da tutto il mondo, dall’Est Europa, dall’Africa, dall’Asia, molti dei quali sono cattolici. La loro presenza dà un apporto di energia e ricchezza alla nostra vita di fede. Nelle chiese di Istanbul, ormai, ci sono celebrazioni animate da filippini, coreani, africani francofoni o anglofoni».
L’esigenza di guardare all’attualità delle Chiese sta particolarmente a cuore a padre Claudio Monge, responsabile del Centro culturale domenicano Dosti di Galata, l’antico quartiere dei genovesi di Istanbul. «Noi cattolici di Turchia siamo una minoranza ancora pesantemente segnata al suo interno da distanze e diversificazioni. Senza sottostimare la ricchezza della varietà di riti, tradizioni, storie, dobbiamo renderci conto che arroccandosi solo su di essa non c’è futuro! Mi auguro che Francesco ci scuota su questo e ci aiuti a riannodare la riflessione che precedette il sinodo per il Medio Oriente, in cui si sottolineava la necessità della “comunione come testimonianza”: in questa terra che ha ospitato l’80% della storia del Nuovo Testamento e dei concili che hanno dato forma al credo cattolico, la testimonianza deve andare all’essenziale della fede. La comunione non è un optional! Se è qui che, nella storia, si sono determinate le fratture più dolorose tra cristianesimo “d’Oriente” e “d’Occidente”, è importante che da qui si parta per sanare e superare queste ferite. Il mondo cristiano di Turchia si attende una riaffermazione della libertà di coscienza e di professione della propria fede, senza che ciò sia motivo di discriminazione, e Francesco non mancherà di sottolineare questa istanza, come già aveva fatto forte e chiaro Benedetto. Tuttavia, noi cristiani non dobbiamo dimenticare che la fede ci rimanda anche una responsabilità civica decisiva: non possiamo esigere il rispetto dei nostri diritti senza mettere sullo stesso piatto una profonda lealtà civile alla terra in cui viviamo».
Ai rappresentanti delle istituzioni, il Papa riproporrà una questione chiave: «La Turchia vuole ancora essere una democrazia moderna al confine tra Oriente e Occidente, secondo un progetto che ora appare per lo meno in stand-by?».

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