La debolezza dell’uomo ha sempre bisogno della Misericordia di Dio
La lettera di Agosto di fr. Adolfo ci parla del perdono, del suo impegno con i ragazzi del centro …
Il perdono suppone il fatto di riconoscere il male commesso e la risoluzione ferma di non farlo più. Riconoscere con dolore di aver sbagliato contro la legge di Dio produce il senso di peccato.
Ma se riconosco il male commesso per altre ragioni meno nobili quali ad esempio, ho rovinato la bella immagine che avevo di me e che gli altri avevano di me oppure la vergogna o la paura di dover subire le conseguenze del mio atto, della trasgressione senza che in realtà ne capisca il valore… là siamo nel senso di colpa che non dà frutti perché è ancora qualcosa che mi attira nella spirale dell’egoismo.
Alla fine lo faccio per me.
L’altro (o l’Altro) non ne trae alcuna gloria.
Inoltre il senso di colpa è un fatto soggettivo nel senso che mi fa sentire “in errore” solo per i mali che io riconosco come tali e non per tutto ciò che è male per se stesso (contrario alle leggi di Dio).
Per questo il senso di colpa è frustrante (non sono riuscito a mantenere la bella immagine che avevo e che davo di me) e questo mi rode, mi consuma, mi fa cercare scuse, vie alternative, nascoste… mentre il senso di peccato è liberante: mi riconosco creatura, bisognoso di aiuto, debole, dunque mi conduce alla verità, e la verità mi fa libero (Gv 8,32).
Chiedere dunque perdono solo perché sono stato scoperto o perché conviene per evitare il peggio (pensiamo al patteggiamento nei processi), intanto non ci fa fare una bella figura (se è l’immagine che ci sta a cuore) e inoltre non conduce al perdono.
Gli elementi importanti sono dunque:
1. Il fatto di riconoscere con dolore di aver fatto qualcosa di oggettivamente sbagliato;
2. La risoluzione ferma di non farlo più.
Bene, se già il primo comporta la differenza tra peccato e colpa, il secondo elemento è ancora più intrigante. Consideriamo in esso (almeno) due casi possibili:
1° : Nel caso in cui ci presentiamo davanti a Dio per chiedere perdono, almeno in coscienza, io so (o almeno dovrei sapere) che il perdono è condizionato dal fatto che realmente non voglio più peccare. Poi, se arriva che pecco ancora, pazienza, ricominciamo, ma a condizione che non ci sia la malizia, se no anche questa diventa qualcosa da confessare (es.: sapevo che sarei ricaduto in quell’errore e non ho fatto niente per evitarlo tanto sapevo che poi sarei stato perdonato).
2° : Ma nel caso in cui io “ho fatto il male”, “ho agito male”, ecc… contro un fratello, il discorso della coscienza diventa più complicato.
Cioè, se non considero il fatto di dover fare i conti con Dio, ma solo con il fratello, spesso succede che chiedo perdono solo quando sono stato scoperto o quando temo che la cosa sarà risaputa o se temo le conseguenze del mio atto. E anche se in cuor mio so che lo rifarò, intanto arrivo perfino a giudicare l’altro come “duro di cuore” se mi rifiuta il perdono.
È quello che succede con i ragazzi al centro: ogni tanto, dopo l’ennesima piccola (grande) “marachella” – ben inteso, oramai scoperta – , ecco la processione alla ricerca del perdono (in genere mandano i più piccoli in avanscoperta o davanti alla processione). Ma a cosa serve?
Il settanta volte sette di evangelica memoria funziona ed è applicabile ma a condizione che ci sia veramente “senso di peccato” e volontà di non fare più quel male. Ma spesso, niente di tutto ciò.
La riprova è che “siamo alle solite”.
Fare finta di niente e dare un “grande perdono” come una specie di “amnistia”, almeno per un verso, non è educativo ma fuorviante perché produce nel cuore di chi lo riceve la certezza che si può sempre rifare, tanto poi c’è il condono.
Cioè non si educa alla responsabilità. Ogni azione causa delle conseguenze che devo imparare a mettere in conto e ad accettare almeno come eventuali e questo è responsabilità.
Mi veniva in mente quello che un frate mi disse circa il sacramento della penitenza nella chiesa greca ortodossa: trovandosi in vacanza in Grecia e mancando sul posto di preti cattolici, il frate andò a confessarsi dal pope dicendo i suoi peccati. Alla fine ne seguì l’assoluzione. Ma ripresentandosi dopo un mese con lo stesso peccato fu mandato via con una frase del tipo: dunque non ti sei ancora convertito? E allora che sei venuto a fare?
Bene e male. Bene perché certamente non si può prendere in giro il Signore. Male perché la debolezza umana ha sempre bisogno della misericordia di Dio. Purché tutto ciò non sia la scusa per continuare a fare il male (cfr 1Pt 2,16).
A proposito dei ragazzi del centro: be’ tra il si e il no c’è sempre il ma. Finché c’è vita c’è speranza. Un no secco e per sempre diventa una condanna eterna e non produrrà cambiamenti. Un si senza condizioni diventa un’offesa alla dignità umana e inviterà a continuare tanto…. Un ma accompagnato da una sanzione salutare che faccia riflettere (con tanto tatto per evitare che sia letta come il prezzo da pagare che alla fine potrebbe creare un listino nelle teste dei ragazzi), sembra ancora la via migliore.
Il grande santo dei giovani Giuseppe Calasanzio, diceva che per far crescere bene gli adolescenti ci vuole “amore”, “pazienza” e “umiltà profonda”. Sembrano parole di uso comune: ci metti tutto e pensi di aver detto tutto (senza cogliere il senso profondo). Ma in realtà, se pensiamo già
• all’amore richiesto, vuol dire desiderio per il loro bene, trasporto, voglia intensa di donarsi e donare tutto ciò che si è e che si ha per loro, affinché possano essere felici e responsabili (o meglio: felici perché responsabili). Dunque un amore che richiede anche fermezza, che ti rende anche impopolare e a volte considerato come un “duro di cuore”.
• alla pazienza, che ti impone di non scoraggiarti mai davanti ai continui insuccessi, davanti ai conti che non tornano, che ti chiede di non scaricare su di loro le tue frustrazione conseguenti…
• l’umiltà (tra l’altro profonda) che è la terza tra le doti richieste al buon educatore ti fa rimettere sempre in discussione. Anche quando, senza adirarti, vorresti semplicemente prendere le distanze, sapendo che hai ragione… bene anche lì, è richiesto un viso sereno, gioioso, accogliente, capace di ingoiare il boccone, caricarsi del fallimento, dell’insuccesso che scopri dietro alle cose che non vanno…
…e continuare sapendo che Qualcun Altro ha ancora più Amore, Pazienza e un Umiltà infinitamente più Profonda nei tuoi riguardi.