Ciò che prima gli riusciva amaro gli si trasformò in dolcezza. La testimonianza di Cinzia

“Non si parte pensando di salvare il mondo: in missione si riceve molto più di quello che si dà”. Mi ero appuntata sul quaderno questa frase che ci avevano lasciato i frati durante il corso “Giovani e Missione” e pensavo di averla capita. Era un invito ad essere umili, perché nessuno si sentisse buono e speciale per quello che aveva deciso di fare. Avevo imparato la teoria, ma ancora non sapevo in che modo quella frase avrebbe attraversato la mia vita.
Così il 31 agosto 2019 ho iniziato il servizio a Betlemme in un asilo e nel centro anziani della Società Antoniana, un progetto locale supportato dall’ATS pro Terra Sancta. La prima settimana ha messo in discussione ogni cosa. C’erano bambini da prendere in braccio, da consolare, da cambiare, a cui dare la pappa e con cui giocare. Poi c’erano gli anziani che non potevano muoversi che avevano bisogno di essere imboccati e asciugati. Pochi parlavano inglese e io non parlavo arabo. Qualche giorno dopo ho conosciuto anche la realtà dell’Hogar Niño Dios, che accoglie bambini con disabilità di vario tipo. Mi chiedevo: ma io cosa ci faccio qui? Non so fare tutte queste cose, non le ho mai fatte in vita mia. I dubbi e le resistenze sono stati abbattuti a poco a poco, in un crescendo di gioia e di amore. Mi sono sentita come San Francesco quando incontra i diversi, gli esclusi: “Ciò che prima gli riusciva amaro, vedere e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza”.
Solo alla fine del mese in Terrasanta ho capito fino a che punto ho vissuto quella frase scritta sul quaderno. Me ne sono accorta al momento dei saluti. Precipitosi, fatti di poche parole, abbracci veloci e baci dati al vento per paura di perdere l’aereo. In quel momento ho rivisto come in un film tutto quello che mi stavo portando via, tutto quello che avevo ricevuto durante il mese in Terrasanta.C’era l’abbraccio di Rahme, la donna a cui davo la cena ogni sera, che al momento dei saluti sembrava aver capito tutto anche se non mi aveva mai detto una parola. Ogni sera, quando la imboccavo, mi fissava con uno sguardo penetrante che mi interrogava. Chissà cosa voleva dirmi. Le nostre comunicazioni erano fatte solo di “Hàlas” (basta), Habibti (amica, amore) e Shuey shuey (piano piano). Ogni tanto le parlavo anche in italiano, e lei continuava a fissarmi senza dire niente. Solo qualche volta si corrucciava e diceva: “Hàlas” perché non voleva più mangiare. Una volta sola l’ho fatta ridere e non la smetteva più. Poi c’era il sorriso dolce di Norma, che mi parlava in arabo con una bella luce negli occhi e io cercavo di rispondere con le parole che avevo imparato. “Shukran iktir” (grazie mille), mi ha detto lei prima di andare via. Abudi invece era molto più giovane ma non poteva camminare bene e bisognava tenerle i polsi per farle fare qualche passo in corridoio. Le ho insegnato l’equivalente di “Yalla Yalla” (andiamo) in sardo perché la divertiva, così appena mi vedeva comparire urlava “Ajò” e rideva. Poi c’era Ivonne che amava fermarsi a parlare in giardino con me mentre fumava una sigaretta, e c’erano anche le parole non dette di Teresa, un’altra ospite del centro, che sono rimaste sospese nell’aria al momento dei saluti per il poco tempo a disposizione. Me le sono portate via insieme alla croce che mi ha impresso sulla fronte Maria, con cui ho cantato La Vie En Rose e fatto lunghi discorsi in italiano. Mi sono portata via anche il sorriso e l’energia di Mirna, e mille altre cose che mi si sono impresse nel cuore. Non dimenticherò mai il sorriso disarmante di Ivan, gli occhi puri della piccola Salma, quelli tristi di Eli che voleva sempre la mamma e quelli birichini di Lulu, Mimi, Angela e Fuad. L’ultima immagine che ho nella mente è quella dell’impassibile Yussef che – dopo tanti miei tentativi di avvicinamento – si è fermato sulla porta, ha sollevato la manina prima che andassi via e mi ha mandato un bacio.
Allora mi chiedo: davvero io ho dato qualcosa, o sono loro ad avermi dato tutto quello che avevano? Parto con questa domanda nel cuore, e saluto per l’ultima volta quella terra dove il Verbo si è fatto carne, quella terra che lui ha scelto per farsi carne anche nella mia vita.

Cinzia Maria

 

Pronti a partire per la missione? Si può!

Pronti a partire?

Hai nel cuore il desiderio di partire, di fare una esperienza di missione, di “sporcarti le mani” per amare, di metterti in gioco di condividere una parte della tua “strada” con altri giovani come te verso un desiderio di pienezza.

Giovani e Missione è una possibilità, un tempo di incontro per prepararti per partire, per conoscere, facendone esperienza, realtà nuove, conoscere  altre culture,altre realtà e metterci a servizio… contattaci…

 

Ecco la testimonianza di Giulia!!!!!

“e andremo e annunceremo che in Lui tutto è possibile”

Giovani e missioni: tra aspettative e realtà

“ sarò nel posto giusto?”

“ avrò veramente capito il significato di missione?” “ non conosco nessuno, farò amicizia?”
Queste sono solo alcune delle domande che mi sono posta non appena ho premuto il tasto invia del mio messaggio di conferma della mia partecipazione al corso giovani e missione.
Sono Giulia e ho sempre desiderato partire per una missione, ho sempre sognato l’Africa e ho sempre sentito dentro di me una grande energia ogniqualvolta si parlasse di tutto ciò. Sono venuta a conoscenza di questa opportunità tramite alcuni amici che lo avevano frequentato qualche anno fa. Ho iniziato questo corso un freddo Venerdì di Novembre, dopo le prime presentazioni ci è stato chiesto quali fossero le nostre aspettative relative al corso.
Ero abbastanza agitata, spaventata di non essere all’altezza e di aspettarmi cose diverse dagli altri. Ti svelo un segreto: RILASSATI, non esistono aspettative sbagliate o giuste, non esistono risposte corrette e risposte errate, esistono semplicemente le TUE aspettative e soprattutto, nessuno ti giudica.

Questo corso è un viaggio dentro di te che ti permette semplicemente di capire se partire è la tua strada,
se il tuo grande desiderio può portare frutto buono. Durante questi fine settimana ho potuto sperimentare l’amicizia, la condivisione e l’ascolto. Ho potuto in più occasioni dialogare con persone che hanno fatto scelte di vita  completamente opposte alle mie, confrontarsi è stato bellissimo e molto arricchente. Inoltre questo corso mi ha permesso di far crescere il mio rapporto con Lui. Nella frenesia della vita quotidiana è raro che io riesca a trovar molto tempo da dedicare a Dio.
Alla fine del ciclo di incontri, dopo essersi confrontati, i frati consegnano ai partecipanti al corso un mandato. Per quanto riguarda la mia esperienza posso dire che è stato il primo momento reale in cui ho sentito concretizzarsi qualcosa che prima era solo un sogno, un’ ipotesi, insomma qualcosa di lontano da me. In quel momento guardi i tuoi compagni di corso, di avventura e puoi leggere nei loro occhi la tua stessa agitazione, le tue stesse speranze, i tuoi stessi pensieri. Io sono stata “ affidata” alla missione in Uganda. Fino a quel giorno non sapevo quasi nulla di questa terra meravigliosa e ora, a distanza di qualche mese posso dire che è diventato uno dei miei posti del cuore.

Un grazie speciale ai frati che hanno saputo gestire questo corso in maniera meravigliosa, un grazie ad Adriana che è stata una nonna, una cuoca ed una roccia. ( che poi e diciamocelo, pizze buone come le sue difficilmente se ne trovano.. per non parlare delle zuppe calde che di inverno scaldano corpo e mente)

Un ringraziamento anche ai miei compagni di avventura e soprattutto a Chiara: mia compagna di missione in Uganda.
Il ringraziamento più grande però va a Lui, senza il quale nulla sarebbe possibile.

Giulia.

 

 

Concedimi, o Dio, un cuore lungimirante…

Lo scorso marzo, insieme ad Ilaria, dopo il corso Giovani e Missione, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda, nel progetto francescano di Giorgio e Marta – Ewe Mama: una scuola per bambini disabili ed un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Ricordo ancora il primo giorno di servizio: lingua e cultura differente, poca dimestichezza con il mondo della disabilità, timore e ansia da prestazione alle stelle (caratteristica tipica della nostra società del fare, ma decisamente amplificata nel popolo veneto)!

Poi, la perla di Marta: “L’importante è che voi stiate! Lasciatevi stupire dalla loro bellezza!”

Quanta Verità nelle sue parole! Una scena fra tutte: Timothy, un bambino autistico, che mi indica la porta, urlando, perché aprissi alla sua compagna Elizabeth, rimasta chiusa fuori dall’aula. Lui solo, che nella confusione, si era accorto che la maniglia si stesse muovendo!

Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.

Perché i bambini usano lo stupore. Non complicano le cose, le accolgono così come sono. Sono capaci di andare all’essenziale. E l’essenziale, per questi bambini, sei tu e il tuo stare con loro. Vivono dell’amore che puoi donargli in quel momento. Solo questo conta. Solo questo gli basta. Noi adulti, invece, le cose le abbiamo complicate. Abbiamo perso la capacità di restare umani, di accoglierci nelle nostre fragilità e incoerenze. Abbiamo perso la semplicità del cuore.

E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.

Chi è un ricco? Chi non ha bisogno.

Finché non riprendiamo confidenza con il fatto che noi siamo innanzitutto bisogno, e quindi tutti poveri, allora non potremmo nemmeno accogliere il regno di Dio nella nostra vita.

Ed io per anni mi sono considerata giusta, idealizzandomi davanti a Dio e a me stessa.

Per me, la missione è stata un bagno di umiltà, un entrare nelle ferite più profonde e mai riconciliate, per imparare ad abbracciarle; un accettare di sbagliare e lasciarsi portare sulle spalle dalla Misericordia; un accorgermi di essere donna spirituale e donna carnale, e finalmente dirmi che vado bene così!

L’augurio che mi faccio, quotidianamente da quando sono rientrata, è questo: “Concedimi, o Dio, un cuore lungimirante come quello dei bambini, un cuore capace di scorgere il potenziale di bene, di bello e di vero che gli sta dinnanzi”.

Alessandra

Fra Michele Impagniatello: una vita offerta

 

Bandeko ba bolingo, Mokonzi apesa bino boboto! (Carissimi fratelli il Signore vi dia pace!)

questo è il saluto che fra Michele Impagniatiello, frate minore della provincia Umbra e missionario in Congo per 10 anni, ha rivolto ai frati minori della Provincia Serafica come testimonianza nella occasione della festa della vocazione Francescana il 18 febbraio 2012.

Fra Michele è deceduto il 2 luglio 2013 dopo una improvvisa e dolorosa malattia, nella quale ha dato testimonianza della sua fede semplice e granitica, che gli ha permesso di accogliere quel tempo faticoso come una offerta in unione alla passione redentrice di Gesù, come lui stesso scrive, “fa’ o Dio, che l’OFFERTA DELLA MIA SOFFERENZA sia sostegno per il cammino della Chiesa e per quanti soffrono nel corpo e nello spirito”

In questo giorno speciale nel quale la Chiesa celebra la solennità di “Tutti i Santi” vogliamo condividere una parte della sua testimonianza per ringraziare Dio per i fratelli che ci ha donato, “i santi della porta accanto”, e come ha scritto Papa Francesco, per lasciarci anche noi entusiasmare e incoraggiare per dare tutto noi stessi, e per crescere verso quel progetto unico e irripetibile che Dio ha voluto per ciascuno di noi da tutta l’eternità.

 

Dalla testimonianza di fra Michele Impagniatiello ai confratelli della Provincia Serafica in occasione della festa della vocazione francescana e degli anniversari , S.Maria degli Angeli, 18 febbraio 2012

“Il tempo della CONTINUITÀ.

Sorella infermità

In 10 anni vissuti in Congo il Signore mi ha dato la grazia di vivere pienamente la mia vocazione francescana e il mio sacerdozio, facendomi sperimentare le mie povertà e scoprire i miei talenti, facendomi incontrare un’altra cultura e parlare altre lingue, facendomi incontrare i volti di tanta gente: i poveri nei quartieri, i bambini, i saggi tradizionali, le tante mamme che tornavano stanche dai campi. Un tempo dove ho percorso in lungo e in largo i vari sentieri della foresta con la mia bicicletta per incontrare e salutare la gente nei villaggi. Attualmente, come tutti già sapete, la mia vita è segnata da “sorella infermità”, una bicicletta che sto imparando a pedalare giorno dopo giorno nella continuità della vita missionaria. Il movimento è lo stesso, pedalare sempre in avanti; lo zaino è lo stesso, il Vangelo; lo spirito è lo stesso, la gioia di annunciare; il sentiero è identico: piano, stretto, faticoso, in salita; la meta è la stessa, i volti della gente. Sto vivendo questa continuità della vita missionaria a braccetto di “sorella infermità”, sull’esempio della vita del Signore, che dopo aver insegnato nelle sinagoghe, annunciato il Vangelo ai poveri, guarito gli infermi, espulso i demoni, ha accolto il cammino della croce e dell’offerta nella continuità feconda della sua vita missionaria. Così oggi vivo questo tempo della sofferenza offrendola per il bene della Chiesa, della missione in Congo e della nostra Provincia.”

Fra Michele Impagniatiello

 

…non mi veniva chiesto nient’altro se non essere me stessa fino in fondo

Lo scorso marzo, ho ricevuto il mandato per la missione in Uganda ( dopo l’esperienza di Giovani e Missione), nel progetto francescano di Giorgio e Marta, Ewe Mama, che prevede una scuola per bambini disabili e un orfanotrofio per bambine e ragazze.

Sono partita con un po’ di insicurezza, con il pensiero di non essere all’altezza dei compiti che mi avrebbero affidato e con il timore di non riuscire a entrare in una relazione profonda con i bambini, così diversi da me per cultura e situazioni di vita. Fin dai primi giorni però mi sono accorta come queste preoccupazioni fossero veramente vane: non mi veniva chiesto nient’altro se non essere me stessa fino in fondo. Mi sono ritrovata a essere Ilaria, senza maschere e sovrastrutture, e questi piccoli mi hanno fatto capire l’importanza delle cose semplici e autentiche.

Dal primo giorno sono rimasta colpita e affascinata dall’Amore che traspariva da questi bambini, che, pur avendo poco, riuscivano a donarsi attenzioni e sostegno l’un l’altro; l’aiuto reciproco e le cure verso i più bisognosi venivano prima di tutto dai bambini stessi. Con il passare del tempo ho capito che, più che essere io quella che donavo, erano loro che donavano a me vita e verità.

Sono partita con il desiderio di fare esperienza di Dio e di conoscerLo in maniera più profonda e posso affermare che questi bambini sono espressione del Suo volto. Si fa esperienza di Dio attraverso i bambini della scuola per disabili e le bambine dell’orfanotrofio, che davvero rappresentano i “piccoli”, gli ultimi, inconsapevoli della preziosità che donano; attraverso i loro sorrisi e i loro occhi, nell’amore che cercano e che danno. Ho compreso con più facilità le parole della Serva di Dio Chiara Corbella, la quale afferma che “l’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare”. In questo mese, sono stata testimone di come solo l’Amore resta e conta: non si è amati per quello che si fa o per le nostre abilità, si è amati per quello che si è. I nostri limiti e le nostre debolezze diventano davvero luogo privilegiato per l’incontro con Dio.

Ho fatto esperienza di Dio non solo attraverso i bambini, ma anche attraverso i volontari con i quali ho condiviso questo tempo: ognuno di loro mi ha donato qualcosa di unico. La condivisione dell’esperienza con dei fratelli ha reso queste settimane più belle, perché è vero che le fatiche, se condivise, diventano più leggere e la gioia si moltiplica.

Quando penso alla missione penso a come raffiguri davvero un piccolo grande pezzo del regno dei cieli, che è simile al lievito o al granellino di senapa che, se seminato, si arricchisce. Prima di partire, mai avrei potuto immaginare la ricchezza e la bellezza che mi sono portata a casa. Grazie a Giorgio e Marta, che si dedicano anima e corpo a questo progetto, desiderosi di fare la volontà di Dio e fiduciosi nella Sua Provvidenza. La loro fiducia nell’amore e nel progetto di Dio per loro rappresenta per me un esempio grande di come i figli si abbandonano con fede nelle mani del Padre.

Sono tornata con la consapevolezza che si può continuare a vivere la missione anche a casa e che è possibile trovare il volto di Dio in ogni persona che incontriamo sul nostro cammino. Grazie a questa missione, ho fatto esperienza di come Dio agisce nella nostra vita, nonostante i nostri limiti e i nostri dubbi; l’unica cosa di cui necessita è il nostro “sì”, la nostra fiducia nel fatto che Lui conosce ciò di cui abbiamo davvero bisogno e ci resta accanto sempre, passo dopo passo.

Ilaria

       

 

Pronti… Partenza … Via… Io sono una missione!

Hai nel cuore il desiderio di partire, di fare una esperienza di missione, di “sporcarti le mani” per amare, di metterti in gioco di condividere una parte della tua “strada” con altri giovani come te verso un desiderio di pienezza.

Giovani e Missione è una possibilità, un tempo di incontro per prepararti per partire, per conoscere, facendone esperienza, realtà nuove, conoscere  altre culture,altre realtà e metterci a servizio.

Una occasione per “aprire il cuore” agli altri e per scoprire, al di là dei limiti che senti, la tanta ricchezza che hai in te, risvegliando i tuoi “desideri belli” di pienezza, una opportunità, come  ci ricorda Papa Francesco di “Vivere con gioia la propria responsabilità per il mondo”, scoprendo, che il “trovarci in questo mondo non per nostra decisione, ci fa intuire che c’è un’iniziativa che ci precede e ci fa esistere. Ognuno di noi è chiamato a riflettere su questa realtà: «Io sono una missione in questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo»

Giovani e missioni è una opportunità che ti viene data per scoprirti e conoscerti, sotto lo sguardo del Padre che ti ha voluto, che non ti ha dato solamente una missione da compiere, ma che sei tu stesso “una missione” una parola detta da Dio per il mondo una “parola” bella e preziosa che va scoperta e vissuta, con l’augurio che Papa Francesco ti fa:

“Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta. Il Signore la porterà a compimento anche in mezzo ai tuoi errori e ai tuoi momenti negativi, purché tu non abbandoni la via dell’amore e rimanga sempre aperto alla sua azione soprannaturale che purifica e illumina”.

Pronti… Partenza …. Via…

Animazione Missioni Estere – Frati Minori di Umbria e Sardegna
Convento Porziuncola, 1 – 06081 S. Maria degli Angeli (PG)
info@missioniassisi.it

 

GM…2: adunata!!

La fede cresce anche nella misura in cui la si trasmette e la si condivide: avendo fatto più volte esperienza di quanto sia vera questa affermazione (ma anche col semplice desiderio di stare insieme), abbiamo pensato di chiamare a raccolta i giovani che, negli ultimi anni, hanno partecipato al corso di formazione “Giovani & Missione”, indipendentemente dal fatto che abbiano poi trascorso, o meno, un periodo in terra straniera.

L’occasione ci è stata data dalla festa organizzata, come al termine di ogni anno pastorale, dal Centro Missionario della Diocesi di Firenze e che si è tenuta presso il convento dei frati di “s. Salvatore al Monte alle Croci” la sera del 15 Giugno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La serata, alla quale hanno partecipato un centinaio di persone, è iniziata nel chiostro con una bella performance artistica: il poeta Massimiliano Bardotti ha declamato alcune sue opere sul tema del peccato e della colpa, fortemente influenzate dall’annuncio biblico della Misericordia di Dio. La musicista Giulia Tanzini ha accompagnato con il suono della sua arpa. Ci siamo poi spostati nel “Giardino delle rose”, dove la comunità filippina di s. Barnaba ci ha offerto una breve esecuzione di danze e canti cristiani, ispirati alla loro tradizione locale. All’altare di pietra, inserita in un contesto di preghiera, abbiamo poi potuto ascoltare la testimonianza di Giorgio e Marta, ormai nostri consolidati amici. La serata si è conclusa con una cena condivisa, ricca di piatti della tradizione filippina.

 

Il giorno seguente, di buon mattino, il piccolo gruppo dei “GiEmmini” (una quindicina in tutto) si è messo in viaggio verso il santuario de La Verna, dove fra Federico ci aspettava per una guida/catechesi: a partire dalle opere di Andrea della Robbia e da una riflessione del card. Martini, ci ha aiutato a entrare nella spiritualità del luogo e ci ha suggerito alcuni spunti sul tema della fraternità e della preghiera. Dopo il pranzo al sacco abbiamo lasciato spazio ad alcune ore di silenzio per il raccoglimento personale, per poi riunirci nella Cappella delle Stimmate e suggellare la giornata con la celebrazione dell’Eucaristia, prima di fare ritorno a Firenze.

 

 

 

La Domenica mattina è iniziata con la condivisione, nella quale le varie esperienze vissute da ciascuno sono diventate dono per tutti; a seguire, la s. Messa celebrata da p. Giuseppe e il pranzo con la comunità dei frati.

 

… e chi ricorda: GM Uganda!

Questa estate in agosto, come avevo detto nella mia testimonianza prima della partenza, quei burloni dei frati mi hanno inviato per tre settimane in Uganda.  Sono stato accolto da Giorgio e Marta, una coppia di missionari francescani laici che hanno una piccola bimba di 9 mesi, Anita, e che mi hanno ospitato presso la missione francescana a Rwentobo.

La missione è stata un dono grande che il Signore, in complicità con i frati burloni e tante altre persone che sono state strumento e testimoni del Suo Amore, mi ha voluto fare.

Quando sono arrivato in Uganda, le paure che il Signore aveva ben controllato in me attraverso una infusione di serenità, tranquillità e fiducia in Lui prima della partenza, le ha un po’ slegate, e me le sono trovate di fronte. E uno direbbe “eh no Signore, così è una fregatura”! Ma Lui mi voleva proprio lì, ad affrontarle e a viverle.

E questo è stato il primo grosso dono, il rendermi più adulto in Africa.

Quello che ho vissuto e che ho visto in Africa mi ha fatto rendere conto che qua viviamo in una bolla fatta di schermi tra le persone e consuetudini malate che ci stanno portando sempre di più lontani da chi siamo, da come il Signore ci ha creato e da come possiamo di più essere espressione del Suo Amore: più empatici, più prossimi, più umani.

Anche le fatiche e le preoccupazioni della vita di tutti i giorni che qua possono sembrare grandi e pesanti, viste con gli occhi nuovi che l’Africa mi ha donato, sono state ridimensionate e viste come piccole, superflue e insensate e ho potuto così rileggerle e inserirle nella “logica” di questo nostro mondo disumanizzante e disumanizzato che viviamo qua.

Ho scoperto là che si può ancora abbracciare uno sconosciuto, che si può prendere una mano di una persona vicina, che per fare del bene non bisogna pensarci. Bisogna solo avere coraggio, il coraggio della carità. Quel coraggio che spesso manca, perché è scomodo, non conviene, perché qua “non si fa così”, perché è anticonvenzionale nella società egoistica del consumo e del profitto. E perché questo coraggio rompe le paure.

Questo è stato un altro grosso dono, e spero di essermelo riportato qua. E la cosa bella è che me lo hanno insegnato i bambini disabili che sono accolti nella struttura in cui sono stato inviato.

Una grossissima lezione me l’ha data una bambina idrocefala che, mentre stava per bere, di fronte alle mani protese di una bambina con spasticità, senza pensarci per nulla, le ha donato il suo bicchiere pieno d’acqua, aiutandola a bere. Lì l’unico vero disabile mi ci sono sentito io: un po’disabile rispetto a loro nell’amare il prossimo.

Ecco che gli occhi, i volti e i sorrisi di chi ti accoglieva, ancor prima che a me passasse per la testa l’idea di farlo, sono stati il cavallo di Troia dei miei freni ad aprire il cuore.

Devo anche dire però che l’Africa è comunque una terra piena di contraddizioni, in cui la vita umana ha meno valore che da noi, e la vita di un bambino disabile vale ancora meno.

Ho potuto poi vivere e gustare il senso di Chiesa universale. Mi sono sentito parte della Chiesa e che Cristo era presente proprio lì accanto a me e ai fratelli e alle sorelle durante la messa in una lingua che non comprendevo, in una chiesa di un paese che neanche c’è su Google Maps di uno stato e di un popolo con idee, abitudini, usi e costumi completamente differenti da quelli che viviamo in Italia. E anche se lo dicevamo in lingue differenti, il Padre Nostro era lo stesso. Ho capito che tutti siamo uniti in Cristo, in Colui che ci ha generato e ci ama infinitamente.

 

Poi tanto e tanto altro: la bellezza di vivere in comunità e di affrontare insieme l’esperienza della missione, camminando nella fede, anche se ognuno a livelli e momenti diversi del proprio cammino. È stata una missione nella missione, vita fraterna condivisa in Cristo.

La preziosità dell’acqua. Che in Africa c’è poca acqua e la gente ha poco da mangiare lo so da quando sono piccolino, ma averlo vissuto è un’altra cosa. Là se non piove non possono coltivare i campi e se non hanno qualche soldo da parte è difficile per loro cibarsi. E così non va. Non è giusto questo divario che c’è tra qua, società dell’opulenza e dell’abbondanza e là. E spesso sono proprio i nostri comportamenti che possono impoverirli anche di più.

Mi porto a casa quindi la consapevolezza che è fondamentale e imperativo fare scelte consapevoli e non egoistiche per non gravare ancora di più. Ogni piccolo gesto quotidiano è importante. Questo mondo e le sue risorse sono un dono importante che il Signore ci dà, ma non è personale, lo ha donato a tutti. A chi è venuto prima e a chi verrà dopo di noi. E abbiamo il dovere di custodirlo.

Mi porto anche a casa l’aver imparato a stare. Io che avevo l’ansia di fare. Ed è bello che questa cosa ritorna in tante testimonianze di altri missionari. Anche se qua tutto ci spinge e ci affanna a fare, a produrre, a riempire agende. Ma quanto questo ci allontana da chi ci è più prossimo?

Ecco perché è importante lo stare e il dedicare tempo. Una bella poesia di Elli Michler augura il tempo. Io penso che il Signore con la missione mi abbia voluto proprio fare anche questo regalo, il regalo del tempo.

Dentro il cammino della missione che Il Signore mi ha chiamato “per caso” a compiere sono arrivati tutti questi bellissimi doni. E ora, qua, a quattro mesi dalla missione, bisogna prima di tutto non scordarsene e affidarsi a Dio Padre Onnipotente e Buono per farli fruttare secondo la Sua Volontà!

Pietro Pettinari

 

GM: chi è agli inizi…

Dopo il primo incontro, tenutosi a Novembre, il corso di formazione “Giovani & Missione” ha da poco vissuto il suo secondo appuntamento.

I 16 partecipanti, accolti a s. Maria degli Angeli dalle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, hanno condiviso momenti di ascolto e riflessione sostenuti dalla preghiera e…

dai manicaretti dell’impareggiabile Adriana (coadiuvata per l’occasione da Martina e Pietro, che hanno così voluto “restituire” quanto ricevuto lo scorso anno).

 

 

 

 

 

La prima sera, in particolare, Giorgio ci ha condiviso la sua esperienza di conversione e ricerca vocazionale, che lo ha portato a sognare una modalità missionaria poi realizzata insieme a Marta, nel frattempo divenuta sua moglie.

Il giorno seguente la prof.ssa Simona Segoloni Ruta, docente di Ecclesiologia presso l’Istituto Teologico di Assisi, ci ha aiutato a conoscere e comprendere i modi in cui, lungo i secoli, la Chiesa ha pensato e vissuto la propria missionarietà.

Sabato sera, invece, il gruppo si è spostato ad Assisi “alta”, presso il Santuario della spogliazione, per assistere al musical “Francesco e Chiara d’Assisi” dell’Associazione culturale e di volontariato Lolek, rappresentato a favore di Aiuto Bambini Betlemme.

 

Arrivederci a tutti tra un mese!!!

 

 

 

Non importava ciò che io facessi ma che io trascorressi tempo con loro

Tante son le cose belle e che vorrei raccontare della Bolivia ma la cosa a cui penso per prima quando devo parlarne son gli occhi dei bambini che ho incontrato.

Nel mese in Bolivia io e Martina, l’amica-sorella con cui sono partita, siamo state in diverse zone, dal centro della città super caotica alle case di fango e legno costruite nel deserto.

Ammetto che all’inizio ho avuto difficoltà a comprendere un popolo molto lontano dal nostro, con le loro abitudini, la loro cultura e le loro usanze, ammetto che forse all’inizio ho avuto occhi giudicanti e vedevo solo ciò che di brutto c’è. Dopodiché ho iniziato a “vivere” i bambini delle case di accoglienza in cui eravamo.

E loro davvero mi hanno fatto innamorare e mi hanno insegnato tanto. Ho conosciuto bambini che nonostante le storie assurde e strazianti erano sempre sorridenti, pronti ad accoglierti a braccia aperte, che si mostrano così come sono, puri ed incontaminati. Credo che in un mese non ho mai sentito un loro lamento, un loro piagnucolare per qualcosa che gli mancava. Li ho visti invece condividere ogni loro gioco o qualsiasi altro oggetto, li ho visti aiutarsi, difendersi l’un l’altro e fare gruppo, li ho ascoltati mille volte dire “grazie” per ogni minima cosa che noi facevamo, dal preparare la pasta all’aiutarli a vestirsi.  Ed è in questo modo che mi hanno dato la testimonianza vivente dell’insegnamento di Cristo. Vivere senza pretese, senza aspettare qualche ricompensa da non so chi, vivere rendendo grazie per quello che si ha, senza paragonarsi a chi “sta meglio” (secondo qualche criterio poi?) e ringraziando per ogni dono che dall’altro viene. Vivere senza nessun legame materiale, difatti quel poco che avevano erano sempre pronti a donarcelo.

Nei primi giorni sentivo la necessità di “fare” qualcosa per poterli aiutare; ma ai giorni in cui non avevamo un attimo per risposare tra le mille cose da fare si alternavano altri in cui non c’era l’apparente necessità di aiuto e quello creava un’ansia assurda, la paura dello star a perdere tempo, del non concludere nulla. Ma anche in questo i bambini mi hanno dato un grande insegnamento: quei piccoli mi hanno fatto capire che a loro non importava ciò che io facessi ma che io trascorressi tempo con loro, allora siamo stati al parco, siamo stati in giardino a giocare e vedevo che quello era la cosa che più li rendeva felici, era ciò che loro più desideravano e quindi era proprio il modo migliore per amarli.  Da questo ho capito che missione non è fare, missione è donarsi, totalmente e nel modo che l’altro desidera e di cui necessita. Non seguendo i miei preconcetti e schemi sul come fare la buona volontaria ma capendo bene come loro volevano essere amati. Alcuni avevano bisogno di abbracci, altri di un aiuto a lavarsi e vestirsi, altri semplicemente che io fossi seduta accanto a loro. Per altri era importantissimo fare qualcosa per me, da un disegno o un bracciale e da quel momento ho iniziato anche a gustare il loro amore, e ne ho ricevuto veramente tanto. Ho capito che loro non solo avevano bisogno di qualcuno che desse loro delle attenzione ma anche qualcuno a cui poter dare il loro amore.

 

Altri ricordi che porterò sempre con me saranno i volti dei vari missionari italiani incontrati, Francesco, Maria, padre Tarcisio, Suor Grazia e tanti altri. Ho visto volti così stanchi ma occhi cosi luminosi da fare invidia, ho invidiato la loro gioia, il loro grande amore e il loro coraggio di abbandonare le loro certezze per abbandonare se stessi all’altro.  Loro sono quelli che alla fine mi hanno fatto anche apprezzare quella cultura cosi lontana dalla mia, perché mi hanno insegnato il loro modo di guardare e di approcciarsi agli altri, mi hanno fatto capire che nessuno può pensare di vivere nel modo migliore, mi hanno fatto vedere i tanti aspetti belli di quel posto, il forte senso di comunità, rispetto per lo “straniero”, la loro capacità di dedicare ancora tempo alle relazioni, di vivere e non solo fare.

Il post missione ha portato con sé una forte solitudine, paura di aver visto e ricevuto tanto ma doverlo impacchettare e metterlo nei ricordi, finché ho capito che alla fine se ho ricevuto la grazia di vivere quest’esperienza è perché Lui vuole che questo approccio missionario alla vita io possa averlo sempre e in ogni luogo. Che quell’attenzione all’altro, quello sguardo diverso che m’hanno insegnato diventino parte di me. Si è missionario nello spirito e non in base al luogo in cui si è.

 

Ambra (qui le sue sensazioni prima della partenza)