Non importava ciò che io facessi ma che io trascorressi tempo con loro

Tante son le cose belle e che vorrei raccontare della Bolivia ma la cosa a cui penso per prima quando devo parlarne son gli occhi dei bambini che ho incontrato.

Nel mese in Bolivia io e Martina, l’amica-sorella con cui sono partita, siamo state in diverse zone, dal centro della città super caotica alle case di fango e legno costruite nel deserto.

Ammetto che all’inizio ho avuto difficoltà a comprendere un popolo molto lontano dal nostro, con le loro abitudini, la loro cultura e le loro usanze, ammetto che forse all’inizio ho avuto occhi giudicanti e vedevo solo ciò che di brutto c’è. Dopodiché ho iniziato a “vivere” i bambini delle case di accoglienza in cui eravamo.

E loro davvero mi hanno fatto innamorare e mi hanno insegnato tanto. Ho conosciuto bambini che nonostante le storie assurde e strazianti erano sempre sorridenti, pronti ad accoglierti a braccia aperte, che si mostrano così come sono, puri ed incontaminati. Credo che in un mese non ho mai sentito un loro lamento, un loro piagnucolare per qualcosa che gli mancava. Li ho visti invece condividere ogni loro gioco o qualsiasi altro oggetto, li ho visti aiutarsi, difendersi l’un l’altro e fare gruppo, li ho ascoltati mille volte dire “grazie” per ogni minima cosa che noi facevamo, dal preparare la pasta all’aiutarli a vestirsi.  Ed è in questo modo che mi hanno dato la testimonianza vivente dell’insegnamento di Cristo. Vivere senza pretese, senza aspettare qualche ricompensa da non so chi, vivere rendendo grazie per quello che si ha, senza paragonarsi a chi “sta meglio” (secondo qualche criterio poi?) e ringraziando per ogni dono che dall’altro viene. Vivere senza nessun legame materiale, difatti quel poco che avevano erano sempre pronti a donarcelo.

Nei primi giorni sentivo la necessità di “fare” qualcosa per poterli aiutare; ma ai giorni in cui non avevamo un attimo per risposare tra le mille cose da fare si alternavano altri in cui non c’era l’apparente necessità di aiuto e quello creava un’ansia assurda, la paura dello star a perdere tempo, del non concludere nulla. Ma anche in questo i bambini mi hanno dato un grande insegnamento: quei piccoli mi hanno fatto capire che a loro non importava ciò che io facessi ma che io trascorressi tempo con loro, allora siamo stati al parco, siamo stati in giardino a giocare e vedevo che quello era la cosa che più li rendeva felici, era ciò che loro più desideravano e quindi era proprio il modo migliore per amarli.  Da questo ho capito che missione non è fare, missione è donarsi, totalmente e nel modo che l’altro desidera e di cui necessita. Non seguendo i miei preconcetti e schemi sul come fare la buona volontaria ma capendo bene come loro volevano essere amati. Alcuni avevano bisogno di abbracci, altri di un aiuto a lavarsi e vestirsi, altri semplicemente che io fossi seduta accanto a loro. Per altri era importantissimo fare qualcosa per me, da un disegno o un bracciale e da quel momento ho iniziato anche a gustare il loro amore, e ne ho ricevuto veramente tanto. Ho capito che loro non solo avevano bisogno di qualcuno che desse loro delle attenzione ma anche qualcuno a cui poter dare il loro amore.

 

Altri ricordi che porterò sempre con me saranno i volti dei vari missionari italiani incontrati, Francesco, Maria, padre Tarcisio, Suor Grazia e tanti altri. Ho visto volti così stanchi ma occhi cosi luminosi da fare invidia, ho invidiato la loro gioia, il loro grande amore e il loro coraggio di abbandonare le loro certezze per abbandonare se stessi all’altro.  Loro sono quelli che alla fine mi hanno fatto anche apprezzare quella cultura cosi lontana dalla mia, perché mi hanno insegnato il loro modo di guardare e di approcciarsi agli altri, mi hanno fatto capire che nessuno può pensare di vivere nel modo migliore, mi hanno fatto vedere i tanti aspetti belli di quel posto, il forte senso di comunità, rispetto per lo “straniero”, la loro capacità di dedicare ancora tempo alle relazioni, di vivere e non solo fare.

Il post missione ha portato con sé una forte solitudine, paura di aver visto e ricevuto tanto ma doverlo impacchettare e metterlo nei ricordi, finché ho capito che alla fine se ho ricevuto la grazia di vivere quest’esperienza è perché Lui vuole che questo approccio missionario alla vita io possa averlo sempre e in ogni luogo. Che quell’attenzione all’altro, quello sguardo diverso che m’hanno insegnato diventino parte di me. Si è missionario nello spirito e non in base al luogo in cui si è.

 

Ambra (qui le sue sensazioni prima della partenza)

In Missione, così come in tutta la nostra vita, con alcuni si può parlare di Gesù, ma con altri bisogna esserlo.

Missione è cammino: è partire, lasciare le proprie sicurezze e comodità per andare ad incontrare. È sporcarsi i piedi con la terra sulla quale cammini per andare al mercato a comprare il lievito per cucinare un dolce per i bambini, quella terra così arida e secca, la stessa che quando piove diventa fango, così tanto fango che non sai dove appoggiare i piedi, ma non devi preoccuparti perché i ragazzi camminano avanti a te, ti guidano e ti sostengono. I bambini in Bolivia sono stati i veri missionari di questo viaggio, sono stati loro a predicarci il Vangelo perché capaci di gesti gratuiti. Me lo ricordo bene quando quel bambino mi ha regalato una pagina del suo album di figurine, era una sola ma era tutto quello che aveva. Pensiamo di andare in Missione con la bisaccia piena per scaricarla agli altri, invece ce la dobbiamo portare vuota per riempirla dei valori che possono darci gli altri.

Missione è scoprirsi: i momenti di fatica ti costringono ad andare all’essenziale, a chiederti ancora una volta perchè sei partita e per chi lo stai facendo. È conoscere come il tuo corpo reagisce alla fame, alla sete o alla stanchezza quando non hai niente a cui aggrapparti. È il Signore che in quel momento ti sta facendo una grazia, ti sta facendo sperimentare che cosa significa essere povero, essere bisognoso, ti sta facendo vedere quanto è importante la mano del tuo fratello pronto ad aiutarti, di cui spesso noi crediamo di non avere bisogno, perché troppo pieni di noi. La fragilità è un dono incomparabile che ti rende nudo di fronte al prossimo e ti fa entrare in relazione con lui, una relazione che sempre arricchisce. Questo ce lo hanno insegnato bene i bambini che in questo tempo trascorso con loro non hanno avuto paura di incontrarci, non hanno avuto paura di volerci bene, di abbracciarci, di cercarci e di parlarci. Con loro parlavamo lingue diverse eppure mi sembrava di capirci così bene. Cercavamo la stessa cosa, l’amore l’uno dell’altro, ci cercavamo e ci trovavamo. Mentre i giorni trascorrevano imparavo a smettere di cercare il mio tornaconto, il mio guadagno personale in quello che facevo e questo mi rendeva una persona sempre più libera.

In Missione il Vangelo si vive, a volte bisogna saper rinunciare a momenti di preghiera per lavare i piatti o accompagnare i bambini a scuola. Si è costretti a cercare la Parola di Dio nella stanchezza che provi a fine giornata, segno che ti sei lasciato consumare dall’Amore, che anche oggi sei felice perchè sei stato pane spezzato per gli altri. Gesù ha bisogno di te, delle tue mani, della tua bocca, delle tue orecchie per portare vita laddove qualcuno ha cercato di strapparla via. È Gesù che vive in te quando accarezzi la fronte di una bambina di dodici anni che non ha più nulla in quel momento se non il tuo affetto. Solo Dio può renderti capace di stare di fronte a tutto questo senza disperarti. In Missione, così come in tutta la nostra vita, con alcuni si può parlare di Gesù, ma con altri bisogna esserlo. “Bisogna essere capaci di annunciare Gesù Cristo lasciando sempre a colui con il quale parliamo uno spiraglio da cui possa scappare lontano. Così il suo incontro si tingerà di libertà, non sarà una costrizione.” Tutto questo siamo chiamati a farlo con gioia. Nel cuore del cristiano c’è sempre la gioia, come dice Papa Francesco, sempre. La gioia accolta come un dono e custodita per essere condivisa con tutti.

Non sento di aver fatto un sacrificio o di aver rinunciato a qualcosa andando in Missione, non mi sento più coraggiosa o più brava degli altri, sento di essermi concessa un lusso, sento che Dio ha voluto donarmi una grazia, ha voluto farmi vedere che cosa significa vivere da figli di Dio. Ora ho visto, ora so, e questo mi chiama a una responsabilità sempre più grande.

Ma così come l’abito non fa il monaco, il posto non fa il missionario. Ora inizia una nuova Missione: tra le mura di casa, all’università, il sabato pomeriggio in giro con le amiche e in qualsiasi posto in cui il Signore mi chiama a vivere il mio oggi. Da ora in poi la mia vita non cambierà, forse non farò cose nuove ma sicuramente le farò con uno sguardo nuovo, attraverso una domanda che sempre si rinnova: “Signore qual è la mia Missione qui oggi?”.

Grazie fratelli e sorelle della Bolivia perché mi avete insegnato il linguaggio dell’amore.

Martina (qui le sue sensazioni prima della partenza)

 

GM: Sotto a chi tocca!!

Dopo Marco & Ilaria e Matteo e Pietro, ora è la volta di Ambra e Martina…

 

Ciao a tutti! Sono Ambra, 24enne napoletana con “strane” idee per la testa… infatti sto partendo per la Bolivia!!!

Quando sei a pochi giorni dalla partenza speri di avere tutto sotto controllo, speri di avere i farmaci per qualsiasi evenienza, l’abbigliamento adeguato al luogo e lo spray che ti protegge da tutti gli animali. Poi pensi che per quanto la tua mente voglia controllare tutto in realtà non può farlo. In questa missione alla guida non c’è la tua mente, se avessi ascoltato la testa ora sarei su qualche isola greca a godermi l’estate.

Ho ascoltato il cuore, un desiderio profondo che porto dentro da un bel po’. Ho seguito quello che Lui mi ha messo nel cuore; allora con lo stesso spirito di affidamento con cui ho affrontato la preparazione, affronto questo viaggio con l’idea di andare li’ per servire, per donarmi totalmente all’altro senza i miei schemi mentali ma con lo Spirito che sto chiedendo a Lui.

Nei mesi di preparazione mi chiedevo cosa potessi donare, avevo l’idea di dover trovare soluzione alla fame nel mondo, per poi capire che ciò io non posso farlo, posso donare solo me stessa, il mio tempo, il mio amore e la mia testimonianza di averLo incontrato. La cosa fondamentale in questa missione è andare incontro all’altro, accogliendo, amando, servendo e facendosi mezzo.

Parlando con le persone in questi mesi tutti mi chiedevano perché fare una cosa del genere, perché stare via un mese, perché non godermi le vacanze, perché spendermi così tanto…. Per Amore!!! E l’Amore è tanto, l’Amore costa, l’Amore ti consuma…altrimenti che Amore è?

Quello che chiedo ora è di essere strumento. ” Oh Signore fa’ di me un istrumento della tua pace” pregava San Francesco.

 

Sono Martina, ho 20 anni e sono in partenza per la Bolivia. Finalmente il mio desiderio si sta realizzando. Le aspettative sono tante così come la voglia di andare.

Ho sempre avuto, fin dall’inizio del mio cammino di fede, il desiderio di testimoniare la gioia di vivere in Cristo, a partire dalle persone a me care. Questo desiderio si è fatto sempre più profondo e attraverso il corso “giovani e Missione” ho avuto la grazia di metterlo nelle mani del Signore per capire fin dove volesse portarmi. Mi sono lasciata condurre , mi sono fidata delle persone che il Signore ha messo nel mio cammino e che mi hanno sostenuta a accompagnata durante questo tempo. Ho accettato con gioia le sfide davanti a cui il Signore mi ha messo, anche quelle apparentemente più scomode, come quella di non partire con Pietro, il mio ragazzo. Certo i dubbi e le preoccupazioni non mancano, ma ciò che mi attraversa dentro è un profondo senso di pace e allo stesso tempo di gioia.

Ciò che mi fa muovere è il fascino della diversità. Provo ad immaginarmi i volti delle persone che incontrerò, i posti che vedrò, ed è bellissimo. Il Signore si è servito dei suoi missionari per attrarmi a sé e ora desidero io essere, come dice Santa Teresa di Calcutta, una fiaccola nell’ora buia di qualcuno. Sicuramente non mancheranno i momenti di fatica e di sconforto , ma so che il Signore non mancherà di farmi sentire tutto il suo affetto e la sua tenerezza, e tutto questo sarà motivo di crescita per me. Per ora mi vivo la mia grande gioia e affido tutto sotto la protezione materna di Maria, madre sorella e amica.

Voglio smettere di adorare me stessa e rendermi strumento di Dio, solo lui mi renderà capace

Mi chiamo Ginevra, ho 20 anni e vengo da un paesino in provincia di Pisa.
Nonostante la mia tenera età fra meno di una settimana partirò per una esperienza missionaria in Bolivia.
Dopo aver passato un paio di anni molto faticosi, con la maturità e il primo anno di università,  mi ero adattata e sopravvivevo: ero insofferente ma non riuscivo a capire cosa mi mancasse. Così l anno scorso ho avuto la grande possibilità della ”svolta”.
In dieci giorni di cammino alla marcia francescana ho sperimentato la bellezza di mettermi al servizio dell’altro. Mi sono fatta carico (sia a livello mentale che fisico) del fratello accanto a me e ciò mi ha dato la possibilità di conoscere tante belle persone e di riscoprirmi. Ho capito che c’era qualcuno che aveva dei grandi progetti per me di felicità e quel qualcuno era Dio.
Così, sulla scia dell entusiasmo post marcia, ho scoperto l’esistenza del corso a Costano e mi sono detta: ”Quale servizio per l’altro migliore dell’essere missionaria?”
Affascinata da questo sogno ho iniziato il corso con un’altra ragazza della provincia Toscana.

Quattro incontri intensi ed estremamente ricchi di contenuti e di parole: ed ogni parola era per me. Non nascondo che ho incontrato delle difficoltà, soprattutto con la mia famiglia, nello spiegare ai miei genitori la motivazione valida e reale di ciò che facevo.

E’ stato durante il secondo week end, quando  si parlava di San Paolo, Fra Iuri disse:
”Paolo compie tre viaggi missionari. Lui nonostante venga osteggiato dai suoi connazionali compie al progetto di Dio.
Coloro che dovevano essere vicino a lui lo osteggiavano , ma nonostante tutto si è affidato ed è partito.”

Quella parola mi cambiò la vita.
Ricercavo talmente tanto l appoggio delle persone a me care che stavo perdendo la volontà dell’unica persona che senza dubbio sapeva qual’era il luogo in cui dovevo stare.

Basta fidarsi.
Così ho mollato tutte le mie prese e ho pregato.

Ho così lasciato totale carta bianca ai frati che avrebbero scelto dove andare, con chi e con quali persone sarei entrata in contatto.
Il 4 aprile ho ricevuto il mandato: andrò in un orfanotrodfio a Santa Cruz. Sono felice di come il Signore mi abbia preparato a questa esperienza. Ovviamente sono molto impaurita sia per le tante ore di volo sia per cosa farò e se ne sarò capace. In più non conosco la lingua!

Decido comunque di crederci ed essere fiduciosa perché sono sicura che negli occhi e nei sorrisi di quei bambini incontrerò il Volto di Dio.

Voglio smettere di adorare me stessa e rendermi strumento di Dio, solo lui mi renderà capace.
Sono stata chiamata, e io non potuto dire che sì.

Ginevra