SIRIA – Quattro anni di guerra, il Nunzio: “non perdiamo altro tempo”

Riportiamo di seguito l’intervista del nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari, pubblicata da MISNA nel giorni scorsi.

“Se guardo indietro a questi quattro anni vedo la mancanza di buona volontà da parte di chi avrebbe potuto porre fine al conflitto e tante, troppe, occasioni sprecate”: è un quadro amaro quello che il nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari, traccia nel quarto anniversario dall’inizio degli scontri che hanno causato oltre 220 mila morti e quattro milioni di sfollati e rifugiati.

Il conflitto nel paese sta per entrare nel quinto anno. In che condizioni versa la popolazione siriana?
La situazione in Siria è più disperata che mai. Ricordo che all’inizio del conflitto, quando le proteste di piazza del venerdì venivano represse dalle forze dell’ordine, le vittime si contavano di settimana in settimana., Aspettavamo, col fiato sospeso che le moscheee finissero la preghiera rituale chiedendoci cosa sarebbe accaduto e se ci sarebbero state vittime. Da allora sono passati quattro anni, quasi 1500 giorni e adesso i morti si contano a centinaia ogni giorno. Nel 2014, Annus Horribilis di questo conflitto insensato, ne abbiamo contati una media di 200 al giorno.

Una ricerca condotta dalla coalizione di ong With Syria ha rivelato che il conflitto ha spento l’83% delle luci del paese. Praticamente un ritorno al Medioevo… 
I blackout sono un grosso problema che si aggiunge a quelli già quotidianamente sopportati dagli abitanti di questa terra martoriata. In certe zone nei dintorni di Aleppo la luce c’è solo per poche ore al giorno. Ma quello che mi preme di sottolineare è che la Siria non è al buio solo per la mancanza di corrente elettrica. All’oscurità nelle case corrisponde un’oscurità nei notiziari e nella visibilità mondiale. Di Siria non si parla più o comunque non abbastanza, per cercare di trovare una via d’uscita a questa guerra. Troppo spesso si parla del conflitto solo in relazione alle efferatezze del cosiddetto Stato Islamico in Iraq e Siria (Isis) ma si dimentica che qui la guerra causa vittime tutti i giorni. E quei morti stanno davvero diventando ‘invisibili’.

A quasi cinque anni dall’inizio degli scontri, quanto siamo lontani da una possibile soluzione?
Se guardo indietro a questi quattro anni vedo la mancanza di buona volontà da parte di chi avrebbe potuto porre fine al conflitto e tante, troppe, occasioni sprecate. La principale ha una data precisa: 30 giugno 2013, quella posta in calce alla Dichiarazione di Ginevra, quando si riuscì a portare i vari attori del conflitto ad un tavolo dei negoziati per la creazione di un governo di unità. La soluzione era a portata di mano ma non si è voluta cogliere.

Non c’è nessun appiglio per continuare a sperare?
Un risultato positivo in questi anni è stato raggiunto: l’accordo per lo smantellamento dell’arsenale chimico dell’esercito nel settembre 2013. Nonostante le tenui aspettative si è riusciti a portare quegli ordigni micidiali fuori dal paese, grazie alla pressione delle superpotenze. Pensi se ciò non fosse accaduto e quelle armi fossero cadute nelle mani dei gruppi estremisti….

Ritiene che quella stessa determinazione da parte della comunità internazionale e quelle pressioni per un accordo sulle armi chimiche siano mancati per convincere le parti a porre fine alle ostilità?
Le divisioni in seno al Consiglio di sicurezza non sono un segreto per nessuno. E anche gli interessi contrapposti delle potenze regionali non hanno fatto che alimentare la violenza e le divisioni settarie. Ma arrivati a questo punto a chi interessa attribuire colpe? Quello che serve è l’immediata fine dei combattimenti e un programma di aiuti per contrastare una crisi umanitaria che ha ridotto in ginocchio il paese. Che almeno non si perda altro tempo!