Prima di partire: Stefano

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Mancano poco più di due settimane alla partenza. Destinazione: l’orfanotrofio La Creche di Betlemme, una terra di missione che mi interroga profondamente sul valore della vita e sul senso della felicità.

Parto con mia moglie Silvia, e questa, per me che ho conosciuto Gesù grazie al suo amore e alla sua testimonianza, è una grazia immensa; il nostro matrimonio è un dono di Dio ed è la forza che mi muove a partire. Gesù disse: “Bussate e vi sarà aperto”; mi piace immaginare allo stesso modo la nostra casa, la nostra famiglia: uno spazio aperto a tutti, sempre, come il cuore del Padre, perché una volta che hai gustato la gioia dell’incontro con Gesù, non puoi fare altro che comunicarla e condividerla.

Mi sento chiamato a testimoniare il Vangelo nella mia famiglia, sul lavoro, tra gli amici. Ma se mi guardo intorno, so che lo spazio che ho a disposizione ogni giorno è ben più ampio: poveri ed emarginati fanno parte integrante della vita di tutti i giorni, ma spesso sfuggono alla mia vista superficiale. Eppure le periferie del nostro mondo sono proprio dietro l’angolo del condominio in cui vivo e forse anche più vicine… Ecco perché desidero partire, per coinvolgermi con l’altro senza il rassicurante rifugio della mia quotidianità.

Da piccolo, mi piaceva il supereroe Capitan Planet; per me era il paladino della giustizia, e immaginavo che anche io da grande avrei lottato per far trionfare il bene. Eppure, quel concetto di Bene e di Giustizia era abbastanza deludente se paragonato a quello del Vangelo, così totale, così rivoluzionario… Non occorre necessariamente partire per maturare la consapevolezza dell’importanza e dell’urgenza di una vera giustizia sociale e di una vera solidarietà, ma partire è per me l’occasione di farne uno degli scopi della mia vita.

Andare incontro al prossimo implica in primis muoversi verso un altro luogo, ma grazie ai weekend di formazione che abbiamo condiviso a Costano, mi sono reso conto che la missione, prima ancora di essere un luogo, è un tempo, un tempo per rinunciare all’ambiente confortevole e rassicurante nel quale vivo, con le sue abitudini e sicurezze, per mettermi in gioco completamente, senza riserve. Mi ha fatto capire che la missione ti porta in un luogo fisico lontano e diverso per obbligarti a toccare un altro luogo, più intimo: te stesso, con il tuo gusto di essere uomo, mettendo a nudo i tuoi limiti e permettendoti di scoprire l’altro come possibilità.

Durante il corso, i frati ci hanno lanciato tante provocazioni, ci hanno suggerito tante domande. Ne porto con me una in particolare: “Cosa mi porto come bagaglio?” Qualche medicinale, pochi vestiti, qualche vestitino per i bimbi di La Creche… ma soprattutto, il Bene di Cristo per non lasciarmi accecare dalla povertà, dalla sofferenza, dal buio e per cogliere la bellezza di ogni gesto di solidarietà, di ogni parola di amicizia e fraternità. Porto con me quell’amore che gratuitamente ho ricevuto e che mai avrei immaginato essere così dolce e capace di riempire la mia vita, e che ora voglio riversare ogni giorno nelle mie azioni per rimetterlo in circolo. Voglio essere attento per l’altro, senza aver paura di sorridere o di dare una carezza. Voglio far sentire a ogni bambino che incontrerò che sono lì proprio per lui.

Parto per vivere il mistero di Dio in ogni esperienza di fraternità, di amicizia, di comunione che questo mese in Terra Santa mi offrirà. Non cambierò il mondo con gesti eclatanti come Capitan Planet, ma cominciando da me stesso: parto non solo e non tanto per sentirmi utile, ma per condividere quell’amore che ho ricevuto; parto con Silvia, luce che illumina le mie giornate, perché solo con lei mi sento completo e capace di donare un amore pieno.

Sto studiando un po’ di arabo per cercare di accorciare almeno un po’ le distanze linguistiche e culturali che inevitabilmente ci saranno, ma sono convinto che proprio in quella diversità di lingua, di modi di fare, di sguardi che mi faranno sentire anche un po’ straniero, incontrerò quell’umanità bella che è ragione di scambio e di rispetto.

Infine, il luogo di missione che ci attende occupa un posto unico nella storia dell’umanità, un luogo dove duemila anni fa il Cielo è sceso per toccare la terra. Una terra che non smette di far parlare di sé per quanto vi avviene. Allora Betlemme era una città povera che fu testimone di un evento eccezionale: Dio che si fa carne, che si fa fragile, manifestando tutta la sua potenza in questa debolezza, un momento di luce e gioia indicibile. Oggi Betlemme è ancora una città povera,  strangolata da un muro che cerca di spegnere luce e gioia, di rendere la vita fragile, precaria. Eppure, i bambini a Betlemme nascono ancora, e proprio come Gesù sono segno di una vita che non ha confini e porta speranza. Condividere un pezzo di vita con questi fratelli più piccoli, privati dei loro diritti fondamentali, mi insegnerà ad essere più umile, a preferire il silenzio agli slogan e alla falsa carità. Prego e pregherò il Signore che la costruzione di questo muro sia presupposto al suo abbattimento. Prego e pregherò il Signore per la pace, perché non ci siano più orfani per questa guerra. Prego e pregherò il Signore perché mi dia la forza e il coraggio di essere strumento vivo del suo amore, disponibile, aperto, accogliente, benefico. Prego e pregherò il Signore perché mi aiuti a farmi piccolo, perché Lui possa trovare posto e ospitalità nella mia vita.

Stefano