Padre Pizzaballa: in Medio Oriente molto è distrutto ma il seme di Gesù, figlio dell’uomo, è vivo
«Gerusalemme ha un valore simbolico altissimo e, insieme, una rete di relazioni e interdipendenze molto strette col mondo. Le tensioni qui sono espressione di quelle mondiali. E viceversa. Se qui si dialoga si può riverberare sul pianeta una capacità di incontro».
Sono queste le parole, tratte dell’intervista di Marco Garzonio a padre Pierbattista Pizzaballa, che più fanno riflettere e sperare sul futuro dell’intera umanità.
Il giornalista del “Corriere della Sera” ha avuto modo di intervistare il frate francescano custode di Terra Santa, in un faccia a faccia che ha toccato argomenti come la marcia contro il terrorismo a Parigi, i rapporti tra Israele e Palestina, l’Isis, l’Islam e molto altro ancora.
Qui di seguito pubblichiamo i passaggi più significativi dell’intervista pubblicata sul noto giornale il 15 gennaio.
Sugli attacchi di Parigi:
«Non sono i primi attacchi terroristici di matrice islamica in Europa. Si pensi a Madrid, a Londra, nella stessa Francia. La novità è l’impatto sull’opinione pubblica. Si stanno determinando le condizioni perché l’Europa compia un’opera di chiarimento su alcune parole lasciate nell’ambiguità. La parola integrazione. Cosa significa? Ci sono valori al centro della convivenza. I diritti fondamentali della persona: libertà di coscienza, uguaglianza uomo-donna, dignità e ruolo della donna, libertà di cultura, di espressione, legislazione sul lavoro, distinzione tra politica e religione e così via. Chi viene in Europa non può metterli in discussione. L’Europa deve chiarire la propria identità, sapendo che per poter integrare devi definire con chiarezza i punti fermi irrinunciabili».
Sulla mobilitazione per la marcia dell’11 gennaio:
«L’Europa di oggi è diversa dai momenti che l’han vista nascere. Non so quanto il solidarismo di ispirazione cristiana animi oggi il Vecchio Continente. Basta guardare a come si è affrontato il tema dell’immigrazione, i salvataggi in mare e le politiche collegate. Certo, ciò che è accaduto a Parigi ha mosso nuove dinamiche, a partire dalla necessità di coordinarsi per rispondere al terrorismo. C’è (però anche) un’Europa che non fa notizia e lavora per l’integrazione, una rete di movimenti, volontari, iniziative. Guardiamo a tale Europa, che conta più di quanto non si creda».
La presenza di Netanyahu e Abu Mazen durante la manifestazione ed i rapporti tra i due leaders: «Non mi sembra che spirino venti di cambiamento. La forza degli eventi li ha obbligati ad essere a Parigi. Ma le relazioni tra Israele e palestinesi non sono cambiate, purtroppo. Le elezioni che ci saranno tra un paio di mesi impongono un’attesa. Si capirà dopo».
La situazione dei cristiani in Israele, Egitto, Siria, Giordania, Iraq, Libano:
«Sono Paesi diversissimi tra loro. Israele non è come la Siria e l’Iraq. L’Egitto, oggi più tranquillo, offre aspetti e dinamiche interessanti e vivaci. Penso all’importante discorso del presidente Sisi dell’università Al Azhar. In generale vedo una debolezza istituzionale diffusa. Certo, incontro situazioni umane drammatiche, ma scopro anche tanta solidarietà, oltre a un’umanità negativa. Sono stato ad Aleppo. È una città da due anni sotto assedio. C’è rimasto chi non sa dove andare. Non c’è acqua e la concessione di un po’ di elettricità dipende dai ribelli. Eppure, imam e parroco si aiutano. I gesuiti distribuiscono 10 mila pasti al giorno e giovani volontari, cristiani e musulmani, li portano a chi ha bisogno. Ci sono tante realtà di cui i media non parlano. Sono il contraltare al fanatismo e alle decapitazioni».
Sull’Isis e l’attrazione che ha verso i giovani europei:
«Non so spiegarmi come il fanatismo possa attrarre. Molti parlano di giovani disperati che vengono dalle periferie dove non c’è nulla. Ma poi vedi che accorrono anche persone istruite e ti chiedi se non vi sia un problema di formazione, l’incapacità di abituare fin dalla scuola i giovani a pensare, confrontarsi, problematizzare. L’Europa e soprattutto il Medio Oriente devono affrontare il tema dell’educazione».
Lo “sguardo” di Papa Francesco:
«Il Papa ha uno sguardo d’assieme sulla realtà mondiale che pochi altri possono avere. Ha colto il cambiamento epocale e, in esso, la violenza che lo abita come nocciolo. Il fanatismo, il dire io sono nel giusto; o diventi come noi, o devi sparire. Poi, a seconda delle situazioni, si avrà in Medio Oriente l’Isis e in Africa Boko Haram. È un ritorno al punto più buio di secoli passati. I religiosi all’interno dei loro mondi (ebrei, cristiani, musulmani) devono aver chiaro il ruolo dell’esperienza religiosa, le relazioni con Dio e tra questi e l’uomo e tra gli uomini, evitando assolutizzazioni che portano ai fanatismi. In questo contesto è soprattutto l’Islam che ha un grosso lavoro da fare in proposito. L’immagine di religiosi che dialogano tra loro è essenziale oggi. Non possiamo restare solo con l’immagine che ci trasmettono i fondamentalismi».
Sull’antisemitismo in Europa:
«Occorre guardare al mondo in trasformazione e a questi spostamenti (le migrazioni dei cristiani del Medio Oriente) senza spaventarsi. Finisce un’epoca, non il mondo. Le discriminazioni contro le minoranze sono la cartina di tornasole della nostra cecità e delle nostre paure. Credevamo che l’antisemitismo fosse finito dopo le efferatezze del nazismo e abbiamo allentato l’attenzione. Purtroppo c’è ancora il pregiudizio antiebraico e va combattuto. Bisogna distinguere aspetto politico e religioso. Si può non condividere la politica dello Stato di Israele, ma tale valutazione non può assumere connotazioni antiebraiche o diventare il pretesto per alimentare forme di antisemitismo».
Sulla percezione dell’Islam in Europa:
«Islam moderato è un’espressione molto europea. Risponde ai nostri bisogni di semplificazione. Dobbiamo imparare a conoscere meglio l’Islam, che è una realtà molto complessa. In quella galassia non tutto è fanatismo, non tutto è Isis: per carità. Certo, ci vuole un grande sforzo da parte dell’Occidente. L’Occidente non ha compreso molto la complessità del Medio Oriente. Prima l’ha visto sotto il profilo dell’occupazione coloniale. Poi per soddisfare i propri bisogni economici ed energetici. Risultato? In Iraq e Libia si son fatti errori. Si volevano fermare dei dittatori, con i quali s’erano avuti rapporti di convenienza? Ci poteva stare, ma le iniziative si prendono se si ha in mente cosa può accadere. Le primavere arabe hanno espresso un cambiamento, ma quando s’è trattato di definire il dopo movimenti spontanei sono stati sequestrati dai fanatismi. I cambiamenti non sono finiti, ci aspetta un periodo di trasformazioni. Per esempio l’Isis non proseguirà nel tempo. Dobbiamo sapere che non si può puntare alla situazione precedente, che non ci saranno un Iraq o una Siria stati nazionali come in passato. (A noi sta anche il ) non rispondere a chiusure con altre chiusure. Il fanatismo si ferma con la prevenzione, combattendo l’ignoranza. I fanatici ci vogliono contro per giustificare i loro attacchi».
Per concludere…
Padre Pizzaballa, lei è ottimista?
«Nel breve no. Sul lungo periodo sì. C’è una guerra in corso, ma le guerre finiscono. E allora c’è solo da ricostruire. Oggi magari non si intravvede una soluzione politica, ma non è finita la missione del Cristianesimo in Medio Oriente. Molto è distrutto, il seme è rimasto. Quello di Gesù, figlio dell’uomo».