P.Daniele Badiali

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Daniele Badiali nasce a Faenza il 3 marzo 1962, la sua è una numerosa famiglia di agricoltori che abita nella  campagna faentina; oltre al padre Luigi, la mamma Giuseppina, la sorella Alessandra, la famiglia è composta dai nonni, dagli zii e dai cugini.  Fin da giovane è portato a conoscere varie esperienze di volontariato, grazie a Don Antonio Samorì parroco che seguiva il gruppo giovani della parrocchia di Ronco.

Daniele così racconta di quel periodo:

Io ero un ragazzo che fino a dodici, tredici anni viveva tranquillamente in parrocchia qui a Ronco, vivevo con altri ragazzi, però vivevo una vita normale, tranquilla. Un bel giorno ho incontrato alcuni ragazzi che lavoravano per i più poveri. Mi hanno fatto conoscere delle realtà che io non avevo mai immaginato fino ad ora. Non pensavo che al mondo ci potesse essere gente che moriva di fame, io che non ero mai stato abituato a soffrire della mancanza di niente, i miei genitori mi avevano sempre dato tutto perché mi volevano bene. Questi ragazzi mi hanno fatto vedere che c’era gente che stava male e allora ho incominciato a chiedermi: che cosa sono io? Perché io devo stare bene e tanti altri stanno male? Ho incominciato a farmi domande serie, sul perché io stavo bene e altri stavano male, ecco allora come nascono le cose, da ciò che capita attorno a noi, uno si fa delle domande serie perché sarà così.”

Durante l’estate del 1977 Don Antonio accompagna il suo gruppetto di ragazzi a conoscere un’esperienza di campo di lavoro per le missioni dell’operazione Mato Grosso (questo movimento giovanile nasce nel 1967 per opera del salesiano p. Ugo De Censi). Il movimento non è conosciuto a Faenza e la prima esperienza di lavoro è guidata da Giorgio Nonni, un ragazzo faentino, da poco tornato dalla missione di Campogrande, in Brasile, dove ha trascorso due anni e mezzo in un lebbrosario. E’ guardando la vita di Giorgio Nonni che per Daniele nasce il desiderio di andare in missione, di seguire p. Ugo e prendere sul serio il cammino della carità. Nel 1984 parte per un’esperienza di due anni. L’intento è quello di lasciarsi guidare da p. Ugo per verificare la sua vocazione. Vive nella casa parrocchiale, buttandosi subito nei lavori per poter togliere qualche peso agli altri volontari presenti e scopre i poveri attraverso le tante persone che bussano continuamente alla porta, chiedendo aiuto. Daniele spera di poter compiere gli studi da sacerdote in Perù, ma questo risulta impossibile, così, in accordo con il vescovo di Faenza Mons. Francesco Tarcisio Bertozzi, torna in Italia per entrare nel seminario di Bologna nel settembre 1986. Il 22 giugno 1991 viene ordinato presbitero a Faenza.

Nell’agosto del 1991 parte definitivamente per il Perù come sacerdote “fidei donum” della diocesi di Faenza-Modigliana. La parrocchia che gli viene affidata, San Luis, è molto vasta, sulla Cordillera Blanca. Sono più di 60 paesini sparsi, suddivisi e facenti parte di tre grossi centri: San Luis, capoluogo di provincia, Yauya e San Nicolas. La situazione religiosa è disastrosa, la mancanza di un prete si avverte molto bene. P. Daniele inizia a farsi carico dei pesi che un parroco deve portare: cerca di raggiungere tutte le comunità anche quelle più lontane, prepara moltissimi bambini alla prima Comunione, inizia il lavoro dell’oratorio, insegna ai ragazzi la devozione e la carità, essendo loro padre, volendo loro bene, con il desiderio intenso di condurli a Gesù.

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Il prendersi a cuore i bisogni, le sofferenze della povera gente diventa il modo concreto attraverso il quale poter far entrare nell’anima delle persone la sete di Dio. Un Dio che Daniele stesso più volte afferma di non trovare più con la testa, con i ragionamenti, ma solo col tentare di voler bene, perdere, rinunciare, sacrificarsi. “Essere servi di Gesù è davvero invocarlo con le sue stesse armi: la bontà, il perdono, l’abbandono, la pazienza, un sorriso… il morire”.

Il 10 marzo 1997 inizia a San Luis, nella sua parrocchia, la preparazione alla Prima Comunione con 500 bambini. Trascorre tutto il giorno insieme a loro in chiesa, pregando e cantando, raccontando loro la vita di Gesù e giocando nei momenti di svago.La preparazione sarebbe durata due settimane fino al giovedì santo, giorno in cui ogni bambino avrebbe ricevuto Gesù nel proprio cuore. P. Daniele è molto preoccupato di trasmettere ai bambini il desiderio di un Padre buono, soffre nel non vederli attenti e devoti, teme per la loro anima e per la sua. Desidera lasciare ai suoi bambini un segno grande che li faccia innamorare di Gesù. Prega tanto la Madonna, quella dal lungo manto, dove ripararsi e trovare consolazione… Ha da poco scritto uno dei canti più belli: “Mami de Dios, mami perdon, ten compasion…”

P. Daniele aspetta il rientro di p. Ugo e p. Giorgio dall’Italia: da mesi sostiene un ruolo per il quale si sente incapace, vuole mettersi da parte.

“Mi ritrovo incapace di abbandonarmi, di lasciare a Dio condurre ogni cosa: anche se mi sembra di giocare tutto, mi ritrovo che ancora devo scommettere a favore di Dio. Essere servi inutili è davvero chiamare il padrone, lasciargli in mano ogni cosa, non voler condurre nulla. Essere servi di Gesù è davvero invocarlo con le sue stesse armi: la bontà, il perdono, l’abbandono, la pazienza, un sorriso… il morire”.

Il 16 marzo, dopo aver celebrato la messa domenicale a San Luis e a Pomallucay, si reca a Yauya, per la celebrazione serale. Di ritorno, con altre sei persone a bordo della jeep, intorno alle 22, si trova improvvisamente la strada bloccata da pietre. Daniele intuisce immediatamente che si tratta di qualcosa di grave.Compare un bandito armato che cerca un italiano in ostaggio. Rosamaria scende. P. Daniele subito si fa avanti scostandola e dicendo:

“Vado io, tu rimani”.

Ha già letto il biglietto consegnatogli dal bandito con la richiesta di riscatto che scade il 25 marzo, giorno del rientro di p. Ugo dall’Italia.P. Daniele viene allontanato, mentre il bandito minaccia con due spari tutti gli altri passeggeri e incita l’autista della jeep a ripartire.

Il corpo di Daniele viene ritrovato il giorno 18 marzo in località Acorma, luogo poco distante da San Luis, in una scarpata piena di pietre, avvolto in un telo di nylon azzurro, con le mani legate dietro la schiena, ucciso da un colpo di pistola alla nuca.

P. Daniele è vegliato tutta la notte ad Acorma, attorno alle pietre bagnate dal suo sangue, dalla popolazione e dai volontari dell’OMG. È accompagnato e vegliato in preghiera da San Luis a Chacas, fino a Lima.

Il 23 marzo la salma rientra in Italia e viene vegliata per tutta la notte e la mattina successiva. Il pomeriggio del lunedì 24 marzo avviene il rito funebre nella cattedrale di Faenza con la partecipazione di moltissima gente. La salma è tumulata presso il cimitero di Ronco di Faenza nella tomba di famiglia.

Sito di riferimento:    http://www.padredanielebadiali.it/