Emergenza Kurdistan: sono migliaia gli sfollati in fuga dall’Is

Di seguito un quadro della drammatica situazione che migliaia di sfollati, tra cui 1.300 bambini, vive in Kurdistan da mesi. [fonte: Avvenire]

Hanno perso tutto. Costretti a lasciare la propria città, Mosul, finita nelle mani dell’Is, le proprie case e le proprie chiese. Almeno centomila, secondo le stime, gli “sfollati” che si sono diretti verso Erbil, trenta chilometri da Mosul, capitale del Kurdistan del Nord. Che si è trasformata in un accampamento a cielo aperto. Nelle tende sono costrette a vivere famiglie intere, con bambini appena nati o anziani. La temperatura arriva a quaranta gradi.
“La situazione è veramente molto critica e abbiamo paura che i problemi sanitari si convertano in epidemie. Si sono verificati, infatti, già diversi casi di lebbra”. Così don Benham Benoka, il Parroco di Ankawa che nei giorni scorsi ha ricevuto la telefonata di papa Francesco, ha denunciato la drammatica situazione che stanno vivendo migliaia di cristiani all’interno del campo rifugiati ad Ankawa sobborgo a maggioranza cattolica di Erbil, nel Kurdistan iracheno. “Diventate musulmani o vi uccidiamo”, è stato il lapidario avvertimento degli uomini dello Stato Islamico. Al momento, nel campo rifugiati ad Ankawa, la Chiesa locale ha messo a disposizione ogni struttura possibile e giornalmente provvede ai pasti e all’assistenza medica di oltre 2000 persone.

In quello che doveva essere un centro commerciale, l’Ankawa Mall, hanno trovato poi riparo 250 famiglie, circa 2mila profughi di Qaraqosh e Bartalla, sistemati in micro-camerette con le pareti in lamierino fissate al nudo cemento. È li che Focsiv (Volontari nel mondo) e Avvenire hanno deciso di avviare il progetto «Emergenza Kurdistan: non lasciamoli soli» con un intervento iniziale stimato per 104mila euro. L’animazione dei ragazzi è il primo passo, quello che gli esperti di primo soccorso umanitario definiscono “Child protection”: da lì può partire una serie di interventi mirati volti a completare con l’«elemento mancante» quello che è il sostegno di base ad esempio dell’Unicef.
Si tratta di fornire pentole e posate a chi ha solo un fornelletto; il sale per cuocere a chi riceve un pacco di riso alla settimana; coperte a chi ha solo un materassino; kit igienico sanitari in particolare per donne con neonati; istruzione, a chi ha solo tempo da perdere. Tutti passi successivi con richieste motivate e documentate.
Prima che lo Stato islamico strappasse via tutto, comprese scuole, giochi e i sorrisi dei più piccoli anche a Qaraqosh e Bartalla, erano 50mila i cristiani da secoli insediati nella Piana di Ninive. Per i rifugiati ad Ankawa Mall, questi sono stati due mesi senza tempo: solo attesa di un ritorno impossibile, solo speranza un aiuto improbabile. Per questo le attività di animazione, per il totale dei 1.300 bambini, significano ricominciare partendo da un canto, un ballo in gruppo, la lettura di una storiella tratta dalla Bibbia, un disegno, per dimenticare quegli stanzoni in cui si vive ammassati, o le tende che prima dell’inverno tutti sperano di aver abbandonato almeno per un tetto in lamierino. Peggio di tutti stanno quelli che per due mesi hanno pagato, a prezzi di guerra, un appartamento in affitto dando fondo ai risparmi di una vita. Ora, sul lastrico e ultimi arrivati, sono ai margini persino della comunità dei senza terra. Ma i racconti che giungono ancora da chi è rimasto nella Piana di Ninive danno ragione al dolore della fuga: «Una solo reazione ai soprusi e sono brutalmente eliminati», raccontano.

In questi giorni Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei – precisamente in Iraq da lunedì 13 a giovedì 16 ottobre con una piccola delegazione, fra cui il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu – è stato proprio in visita ala struttura che insieme ad altre 26 a Erbil, sono state trasformate in campo profughi per migliaia di famiglie in fuga dai terroristi dell’autoproclamato Stato islamico, guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, sedicente successore di Maometto.«Quello che ho toccato con mano in questi giorni ci consegna la responsabilità di una risposta pronta e diversificata, in stretta continuità con l’appello alla preghiera che, come Chiesa italiana, abbiamo lanciato ad agosto a tutte le nostre comunità, a fronte delle persecuzioni che si sono abbattute sui cristiani e sulle altre minoranze religiose». Qui l’intervista integrale.

Per approfondire: http://www.7per24.it/2014/10/20/kurdistan-una-luce-di-speranza/