DOSSIER: L’Africa e la piaga della malnutrizione
40 miliardi di cibo importati ogni anno, senza risolvere la piaga della malnutrizione. Grazie alla pochezza delle élite politiche africane e all’appetito delle multinazionali dell’agroalimentare. Una beffa per i cantori della rinascita economica africana.
Con il 50% delle terre coltivabili di tutto il mondo, l’Africa potrebbe da sola nutrire l’intero pianeta, ma solo il 10% dei suoi 400 milioni di ettari è coltivato. Malgrado il grande potenziale agricolo, il continente spende la cifra astronomica di 40 miliardi di dollari l’anno in importazioni di cibo. Una cifra che tuttavia non basta a risolvere il problema dell’insicurezza alimentare: in Africa vive un quarto della popolazione mondiale vittima di malnutrizione.
Ma non è sempre stato così. Negli anni Sessanta, all’indomani della decolonizzazione, l’economia africana sembrava persino più promettente di quella sudamericana e in grado di sviluppare una produzione agricola tale da sfamare la propria popolazione. Come è accaduto che l’Africa diventasse un importatore di cibo?
È dal 1980 che la forbice tra importazioni ed esportazioni di cibo ha cominciato ad allargarsi, fino alle cifre record degli anni Duemila: nel 2012 le importazioni hanno superato le esportazioni di 40 miliardi (dati Fao). Anche se molto in questi anni è stato fatto (il numero di persone che soffrono la fame è passato dal 27,7% al 20,5%, dati Fao 2014) sono evidenti le gravi colpe dei governi africani.
Benché non si possa generalizzare, le politiche alimentari africane negli ultimi decenni si possono sintetizzare nella scarsa meccanizzazione dell’agricoltura; nella mancata formazione di specialisti dell’agronomia; nella politica di scarsi investimenti e troppi sussidi che hanno depresso la produzione e quindi spinto all’importazione di cibo dall’estero; all’affidarsi a pochi prodotti grezzi come caffè, cacao, tabacco e frutta ma che più di altri soffrono variazioni di prezzo.
Negli anni ’90 le privatizzazioni e le liberalizzazioni hanno duramente colpito i piccoli produttori: ciò non ha portato all’autosufficienza dell’agricoltura africana ma ha costretto gli stati a importazioni sempre più massicce. Nel 2004 i paesi africani hanno compreso che l’agricoltura doveva diventare argomento dell’agenda politica e così a Maputo 54 paesi firmarono il Comprehensive Africa Agriculture Development Programme, in cui stabilirono di destinare almeno il 10% del proprio budget nazionale all’agricoltura. Ad oggi hanno mantenuto la promessa solo otto paesi, un dato che ha spinto l’Unione africana a un mea culpa all’indomani della decisione di dichiarare il 2014 “anno dell’agricoltura e della sicurezza alimentare”.
La presa di coscienza sembra però tardiva poiché, già nel 2012, i paesi africani avevano riconosciuto il proprio fallimento decidendo di affidarsi all’aiuto del primo mondo con la “Nuova alleanza per la sicurezza alimentare” con l’obiettivo dichiarato di portare 50 milioni di africani fuori dalla povertà entro il 2022. Come? Con investimenti privati (principalmente di multinazionali americane) e con l’impegno dei paesi africani di armonizzare le leggi in modo da favorire l’afflusso di capitali.
Se è vero che la responsabilità dell’insicurezza alimentare e del mancato sviluppo agricolo è da imputarsi prima di tutto all’incapacità e alla mancanza di visione delle leadership africane, bisogna chiedersi se “l’aumento delle importazioni di cibo non corrisponda al dominio che le multinazionali esercitano sulle sementi, sui prodotti chimici agricoli, finanche sul commercio e la distribuzione”. Esiste un messo tra l’incremento delle importazioni e il ruolo monopolistico delle multinazionali sull’intera filiera della produzione agricola? Uno studio del 2009 spiega come due terzi del mercato globale di sementi sia controllato da appena 10 compagnie. Un processo che ha portato a conseguenze dirette: l’aumento dei prezzi dei semi e la riduzione delle possibilità di scelta da parte dei contadini.
Abbastanza da gettare sul lastrico i contadini dei paesi in via di sviluppo. Il Comitato sui diritti umani, economici e sociali dell’Onu già nel 2008 parlò di un “crescente numero di suicidi tra i contadini” e dell’ “estrema povertà tra i piccoli coltivatori esacerbata dall’escalation dei prezzi delle sementi prodotta dalle multinazionali”. La Fao si disse preoccupata poiché i monopoli delle sementi “oltre a incrementare i costi minacciano la sicurezza alimentare”. Le multinazionali controllano infatti sempre maggiori aspetti della catena alimentare rendendo impossibile la concorrenza e togliendo agli stati sovranità alimentare. Il monopolio delle multinazionali può avere disincentivato gli investimenti agricoli e prodotto un incremento delle importazioni? E’ un’ipotesi suggestiva, anche perché l’importazione di cibo è aumentata esponenzialmente proprio nel periodo in cui le multinazionali occupavano posizioni monopolistiche, ma non può essere provata. E’ lecito però domandarsi se la Nuova alleanza con il G8 sia veramente la risposta adeguata al problema della sicurezza alimentare.
Articolo tratta da “Nigrizia” di novembre 2014