Sant’Antonino Fantosati, il virtuoso frate minore martire in Cina
Antonino, al secolo Antonio Sante Agostino, Fantosati nasce nella borgata di S. Maria in Valle nel Comune di Trevi (PG) il 16 ottobre 1842. I genitori Domenico e Maria Bompadre, una coppia serena e laboriosa, vivevano in campagna, in una rustica casetta, poveri di cose, ma ricchi di onestà. La loro prima preoccupazione fu che fosse rigenerata nell’acqua del battesimo la loro creatura e, il giorno stesso della nascita, venne battezzato.
Ancora ragazzo fu mandato a scuola dai Francescani, nel vicino Convento di S. Martino; la frequentazione di questa Comunità di religiosi fece nascere in lui la vocazione di far parte della Famiglia Francescana e così a 16 anni vestì l’abito religioso nel Convento della Spineta a Todi, cambiando il nome in fra Antonino.
Dopo l’anno del noviziato, Antonino fu mandato a compiere gli studi a Spoleto, dove fece la Professione Solenne il 28 luglio 1862; continuò gli studi a Roma ed infine fu ordinato sacerdote il 13 giugno 1865.
Un paio d’anni dopo, nel 1867, dopo un incontro con il Ministro Generale a Roma, decise di partire missionario per la Cina aggregandosi ad altri otto francescani.
Dopo 66 giorni di viaggio giunsero ad Uccian capitale del Hupè e residenza principale della Missione.
Riposati dal lungo viaggio e ristorati nello spirito, si abbigliarono alla cinese: accomodarono a pizzetto la barba già lunga per il viaggio, si legarono a codino i capelli, che di proposito non avevano visto da mesi le forbici e, deposto il grezzo saio francescano, indossarono la veste di seta del letterato che costituiva il passaporto per venire ascoltati dalle autorità locali.
Dopo un breve periodo di adattamento al clima, alla lingua e agli usi cinesi, il 6 gennaio 1868, prese a salire verso l’Alto Hupè, dove vi giunse a fine marzo. Lì trascorse sette anni di intensa attività apostolica, spostandosi nelle varie Comunità cattoliche tra Scian-kin e He-tan-kon, il periodo fu sereno e denso di conversioni; imparò speditamente la lingua cinese al punto che venne chiamato “maestro europeo”.
Dopo fu chiamato a spostarsi nella città di Lao-ho-kow. Qui nella Cina tartara del 1900, dilagava l’uso dell’oppio, del vizio, dell’oppressione dei più deboli, quindi il compito anche sociale del missionario, per di più europeo, era di enorme delicatezza e tatto e padre Antonino riuscì con metodo e perspicacia, ad inserirsi nella società cinese locale, e senza urtare nessuno; la sua Missione divenne il centro di contatti continui con personaggi più o meno illustri.
Erano mercanti, letterati, mandarini, studenti, aristocratici e popolino, bonzi disoccupati, barcaioli di passaggio, tutti interessati, meravigliati, chiedevano le stesse cose con un’infinità di lunghi e noiosi complimenti. Prese a praticare tutte le loro usanze, dai bastoncini per mangiare, al mostrarsi goloso delle loro pietanze.
Eliminò dal frontone della Casa, la dicitura “Chiesa Cattolica” per non inimicarsi i bonzi-confuciani e mettendo “Ospizio di Francia”. Nel 1878 la Cina in generale e la provincia dell’Alto Hu-pè in particolare, venne colpita da una spaventosa carestia seguita dalla peste, che spopolò intere province. Padre Antonino Fantosati organizzò subito un orfanotrofio per i bimbi rimasti soli, raccolse aiuti in Europa che distribuiva in vestiario, cibo, medicinali, contrasse lui stesso la peste aiutando gli ammalati, riuscendo però a guarirne.
La sua opera fu ben apprezzata e nel giro di tre mesi 90 famiglie si convertirono e le Autorità civili e militari assecondarono i suoi desideri.
Poi gli venne assegnata un’altra zona ancor più remota, sin quando non venne trasferito nell’importante porto di Laoho-kow.
Nel 1888 dopo 20 anni di missione, esausto nelle forze, fece un ritorno in Italia durato otto mesi, visitando i luoghi francescani e la Terra Santa. Nel giugno 1889 ritornò in Cina. Nel 1892 ebbe da Roma la nomina a Vicario Apostolico dell’Hunan Meridionale.
Operò nell’Alto Hupé per venticinque anni e con la sua affabilità alzò il prestigio della Chiesa Cattolica nella regione per cui mandarini e letterati si sentivano onorati dell’amicizia del “maestro europeo”. Ma i tempi si facevano sempre più duri: una disastrosa siccità uccise persone e animali, si diffusero epidemie; i cristiani furono oggetto delle più strane calunnie; i mandarini del Hu-nan furono invasi da un cieco parossismo antieuropeo e anticristiano.
E così si arrivò all’anno 1900; il 3 luglio i ‘boxers’, appoggiati dagli ordini imperiali che incitavano soldati e popolo a scacciare, uccidere e distruggere i missionari e le loro opere, distrussero prima la chiesa dei Protestanti di Hoang-scia-wan, città ove era la residenza del Vicariato Cattolico del Hunan; il 4 luglio la Casa episcopale del vescovo Fantosati, assente da due mesi, fu assalita e distrutta come pure l’Orfanotrofio e varie case di cristiani bruciate. Si ebbe anche la prima vittima, il ventisettenne sacerdote francescano Cesidio Giacomantonio bruciato ancora vivo.
Mons. Fantosati impegnato nella ricostruzione della chiesa di San-mu-tciao, fu informato di quanto stava accadendo e il giorno 6 luglio salì su una barca per tornare a Hoang-scia-wan, nonostante i tentativi di molti cristiani di trattenerlo.
Verso mezzogiorno del 7 luglio, la barca arrivò nei pressi della città; riconosciuti da alcuni ragazzi e al grido “morte agli Europei”, la plebaglia dalla riva, prese le barche dei pescatori e circondarono quella dei missionari, i quali a stento riuscirono a scendere sulla riva dove, aggrediti dalla folla urlante, furono massacrati con sassi e colpi di bastone. Al vescovo Fantosati, agonizzante per le botte, ma ancora vivo, un pagano infilò un palo di bambù con punta di ferro da dietro; negli spasmi il martire riuscì a sfilarlo, ma un altro pagano, preso lo stesso palo, lo conficcò in modo che uscì dall’altra parte.
Dopo due lunghe ore di martirio muore così il vescovo Fantosati, dopo 33 anni di missione, a 58 anni di età.
Antonino Fantosati venne beatificato con altri 28 martiri vittime nei primi giorni di luglio dell’anno 1900, il 24 novembre 1946 da Papa Pio XII.
Il 1° ottobre 2000, san Giovanni Paolo II lo canonizzò insieme a un numeroso gruppo di 120 martiri morti come lui in Cina.