Pavel Florenskij, il grande scienziato e teologo russo

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Pavel Aleksandrovič Florenskij nasce presso Evlach, entro i confini dell’attuale Azerbaigian: è il 9 gennaio del 1882.
Primogenito di 7 figli, quasi subito la famiglia  si trasferisce a Tiflis, dove porta a compimento la formazione primaria e gli studi ginnasiali. Abiterà a lungo in Georgia, dalla quale il giovane Pavel si allontanerà solo al compimento dei 18 anni, per poi raggiungere l’Università di Mosca.
Nel 1892 si prepara all’inizio degli studi secondari nel ginnasio di Tiflis. Questi sono anche gli anni dei primi viaggi, dei primi contatti con l’Oriente sterminato e con le città occidentali. Nel 1899 ha diciassette anni.
Sono i mesi della prima crisi spirituale del giovane studente. Ha letto La confessione di Lev Nikolaevič Tolstoj, e ne raccoglie la provocazione: il romanziere segnava quel lavoro con una seconda nascita, la sua conversione al cristianesimo.
A Mosca, oltre a compiere i propri studi presso la Facoltà di Matematica, subendo attivamente l’influenza di B.N. Bugaev, segue inoltre i seminari di filosofia antica.
Nel 1903, alla morte del maestro, sarà Pavel Florenskij a venire incaricato della riorganizzazione della biblioteca.
Nel 1904 il filosofo russo matura la scelta di iscriversi alla Facoltà Teologica, nei pressi del monastero di San Sergio a Sergiev Posad. Sono anni intensi, dedicati interamente agli studi di storia della filosofia, di biblistica, di teologia fondamentale, di mistica, logica simbolica, di lingua ebraica. Tempi comunque segnati dalla passione per la matematica e la scienza in genere, come sarà sino alla fine, per una scienza integrata nelle fondamenta di un pensiero che ormai inizia a prendere corpo. Milita con V.F. Ern nella Fraternità Cristiana di Lotta.
Nel 1906, contro una condanna a morte, pronuncia in Accademia il sermone “Il grido del sangue”: gli costerà già tre primi mesi di reclusione, poi commutati in grazia.
Elabora anche tesi che seguono un’impostazione simbolista: esplora il concetto di “insieme” (Sui simboli dell’infinito. Studio sulle idee di G. Cantor) che raccoglie nell’unità la molteplicità e rende possibile la relazione dell’infinito con il finito, del relativo con l’assoluto attraverso il “numero trans-finito” che è il luogo della presenza dell’uomo nel mondo; affronta il tema dell’oltre il limite intrinseco all’uomo (in Empiria ed empirismo) che nel mondo empirico guarda al di là della realtà effettuale.
Nel 1910 si sposa con Anna Gencintova e nel 1911 viene ordinato sacerdote della Chiesa Ortodossa.
Dal 1911 al 1917 è direttore della prestigiosa rivista teologica “Messaggero teologico”.
Dopo la rivoluzione del 1917, a differenza di molti altri intellettuali russi, resta in patria accanto alle comunità religiose oggetto di soprusi e di una falsa propaganda denigratoria. Malgrado sia guardato con ostilità per la sua professione di fede, gli conferiscono incarichi importanti in due istituti di Stato: l’Amministrazione centrale per l’elettrificazione della Russia e l’Istituto elettrotecnico di Stato. Sono le sue competenze tecnico scientifiche che gli consentono ancora di essere tollerato dal regime e gli permettono di continuare ad esprimere la propria appartenenza alla Chiesa ortodossa. Verso la fine degli anni Venti i tratti del regime diventano più persecutori e Florenskij nel maggio del 1928 viene arrestato perché considerato soggetto socialmente pericoloso. Viene condannato a tre anni di confino, ma poi liberato qualche mese dopo la condanna.
Nel febbraio del 1933 viene nuovamente arrestato e condannato a dieci anni di lager, in Siberia, nell’isola di Solovki dove, al posto di un antico monastero, ere stato costruito un gulag. Nonostante si trovi a vivere una condizione disperata prosegue le sue ricerche scientifiche, pervenendo a importanti scoperte tra le quali la produzione di un liquido antigelo. Dal gulag non uscirà più e la sua morte resterà un mistero per molti anni.
Solo recentemente, dopo più di cinquanta anni dalla sua morte, sono venuti alla luce gli atti segreti del KGB che raccontano gli ultimi tragici eventi che portarono alla sua fucilazione avvenuta l’8 dicembre del 1937 in una località vicino a Leningrado, rimasta sconosciuta. Florenskij, dopo aver opposto una tenace resistenza alle accuse contro di lui, accetta le false imputazioni, poiché seppe che la sua confessione avrebbe determinato la liberazione di altri detenuti nel gulag.
Questi fatti testimoniano la centralità che l’amore ha avuto non solo nel suo pensiero, ma anche nella vita e particolarmente toccante risulta l’ultima lettera inviata alla famiglia: «È chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzione. E tanto più disinteressato è il dono, tanto più crudeli saranno le persecuzioni e atroci le sofferenze. […]. Per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue» (tratto da “Non dimenticatemi”, LETTERE DAL GULAG).

Durante gli ultimi decenni del XX secolo sono circolate voci, poi rivelatesi infondate, circa la glorificazione di Pavel da parte della Chiesa Ortodossa fuori dalla Russia come santo e neo-martire. Tuttavia l’allora Metropolita Vitalij negò recisamente che alcuna canonizzazione fosse stata operata, né fosse prossima ad operarsi.

Il pensiero

« Da quel dicembre del 1937 alla metà degli anni ottanta il nome di Florenskij era stato completamente cancellato, rimosso dalla coscienza pubblica del paese, sebbene sempre gelosamente custodito nella memoria viva di pochi discepoli, amici e familiari. […] Figura davvero geniale della storia del pensiero umano, dietro la sua apparenza sobria e dimessa, sotto le sue tonache ruvide e lise, custodiva una grandezza della quale ancora soltanto in parte possiamo intuire la portata. »

Il pensiero di Florenskij deve essere necessariamente collocato nel contesto che caratterizza il mondo russo nel passaggio dal XIX secolo al XX secolo.
La sua produzione è perfettamente incardinata nel tempo di rinascita spirituale e culturale della Russia, al fiorire dei dibattiti imperanti nei salotti dell’intelligenzia filosofica.
Florenskij inaugura una filosofia coinvolta nella definitiva ridefinizione del simbolo quale vetta dell’incontro tra Dio e il mondo, visibile e invisibile, tra cielo e terra.
La conoscenza, quale cammino, viene orientata alle radici della concretezza (secondo i termini originali di una metafisica concreta) che attira il pensiero a sé. La dialettica si “incarna” nel pensiero platonico: del resto l’incontro tra ragione e realtà genera stupore, base del filosofare di Platone e dei maestri antichi. La risposta che la realtà concede alla ragione che interroga produce allora l’avvitarsi di nuove domande “stupite”, e ancora nuove risposte che generano stupore, in un confronto che mai smette di approfondirsi. Queste idee prendono forma nella sua concezione complessiva del cristianesimo: “Il cristianesimo non vive di concetti fissi e intangibili, ma si manifesta in un processo evolutivo che non è riducibile ad alcuna delle formule (riti sacramentali, formulazioni dogmatiche, regole canoniche, conformazione temporale dell’ordinamento ecclesiastico) che l’ecclesialità assume nel corso della storia”.

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