Padre Alfredo Cremonesi: monaco missionario col sogno del martirio

Un martire non si improvvisa, Padre Alfredo Cremonesi (Servo di Dio) ha costruito il suo martirio pietra su pietra, giorno per giorno. Non solo perché l’ha desiderato (”suggellare il mio apostolato con il martirio”), ma soprattutto perché ha vissuto da “martire”, in una donazione continua e totale a Dio e alla sua gente.
Alfredo, a Ripalta Guerina (diocesi di Crema), dove nasce nel 1902, ha la fortuna di una famiglia dove si vivono grandi valori: la bontà della mamma, ma soprattutto la generosità del padre, Enrico, impegnato nell’Azione Cattolica, segretario della Lega Cattolica Lavoratori, organizzatore di scuole per i giovani contadini. Sotto il fascismo sarà perseguitato, e un altro membro della famiglia soffrirà per lo stesso motivo: il fratello Ernesto, giornalista, morirà nel campo di concentramento di Mauthausen. Alfredo segue le vicende familiari e si immedesima. A nove anni entra nel seminario di Crema e presto si accende in lui l’ideale missionario. Ma durante il liceo si ammala di linfatismo, che ritarda la realizzazione del suo desiderio. Guarisce per intercessione della sua santa preferita, Tersa del Bambino Gesù e, superando la resistenza del vescovo e del rettore del seminario, entra nel Pime a Milano nel 1922. Due anni dopo è ordinato sacerdote e nell’ottobre 1925 parte per la Birmania, per la missione di Toungoo. Si può sintetizzare l’avventura missionaria di padre Cremonesi in due caratteristiche: la passione (e l’attività) missionaria e la profonda spiritualità.
Cominciamo con quest’ultima. Confessava di aver sempre avuto “un desiderio immenso di vita claustrale”, che non poteva realizzare in missione. Ma si “sfogava” ugualmente nella preghiera: andava a letto alle nove, si alzava a mezzanotte per un’ora di adorazione, si alzava di nuovo alle tre e mezza, celebrava la Messa alle quattro e mezzo. Durante la giornata passava in chiesa altre due ore di preghiera. Sintetizzava la sua spiritualità in tre punti: “Vedere Dio in ogni cosa. Amare Dio in ogni cosa. Servire Dio in ogni cosa”.
Sostenuto da questo alimento, veniva il suo infaticabile apostolato missionario prima a Yedashé e poi a Donoku’ fra i cariani boku’, in una maggioranza di convertiti alla Chiesa battista. Sempre a piedi, pieno di malattie, percorre la zona visitando villaggi, costruendo scuolette come premessa per l’evangelizzazione, curando con medicine confezionate da lui stesso. Padre Ziello, missionario a Toungoo, riferisce la “gioia dei successi” di padre Cremonesi, tutte le volte che tornava dai viaggi apostolici: “Erano sempre retate di villaggi assieme”.
Ma arriva la Seconda guerra mondiale, con la presenza distruttrice dei giapponesi. Padre Cremonesi è ridotto fisicamente all’osso, ma non si ferma: costruisce nuove opere, rimane tra la gente. Il dopoguerra è peggiore, con l’indipendenza della Birmania nel 1948 e la guerra fra governo centrale e cariani boku’. Cremonosi deve rifugiarsi a Toungoo per un anno e mezzo con il senso di colpa per aver abbandonato i suoi cristiani. Quando riesce a tornare a Donoku’, la situazione non è tranquilla, ma il missionario si illude che stia arrivando la pace. Sarà invece lui la vittima. Il 7 febbraio 1953 le truppe governative subiscono una sconfitta e tornano piene di rabbia a Donoku’. Assalgono il capo villaggio, cattolico fervente. Padre Cremonesi lo difende, dicendo che lì non c’è nessuno favorevole ai ribelli. La risposta è una raffica di mitra contro i due. Il capo sopravvive; padre Cremonesi realizza il sogno del martirio.
Il giorno dopo alcuni fedeli tornarono al villaggio incendiato per dare sepoltura ai morti, tra i quali Padre Alfredo. Prima di seppellirlo, gli tagliarono un po’ di barba e alcune pezze della camicia insanguinata che fecero pervenire a Toungoo in una busta con la scritta: “Reliquie del martire Padre Cremonesi, da mandare ai suoi genitori”.
Per i suoi figli era già un martire.