Lettera di settembre

P. è ancora con noi, questa volta se l’è vista brutta: dopo l’ultima bagarre per strada con altri che come lui per un motivo o per un altro ci vivono in permanenza, ha pensato bene (e anche in ritardo) di venire a chiedere ancora aiuto al centro.

P. ha 23 anni, un figlio di 5 e una compagna incinta. Tutti quanti vivono per strada. Lui non è mai riuscito a inserirsi in un modo migliore in società, nonostante i tentativi (numerosi) in (altrettanti numerosi) centri di accoglienza. Adesso è grande e vive di espedienti, piccoli furti e altre cose del genere.

L’ultima rissa gli stava costando il braccio sinistro. Quando è arrivato al centro diceva soltanto: “non ce la faccio più… per favore, tagliamo questo braccio…”. In effetti il braccio non aveva un bell’aspetto. Era stato ripetutamente colpito con un machete al petto e al braccio sinistro (con cui cercava di parare i colpi). Una ferita in particolare al braccio sinistro lo aveva ridotto a uno stato pietoso: la ferita era profonda e infetta, il braccio gonfio come un pallone e la pelle che per il gonfiore si staccava come carta velina. Non aveva più la capacità di muoverlo. In città lo avevano portato all’ospedale catalogandolo come “caso sociale” (così chiamano i casi di persone riconosciute da tutti come nullatenenti) e dopo qualche goccia di disinfettante avevano detto che bisognava solo tagliare perché ormai inutilizzabile. Ma anche per questo ci volevano soldi e per questo lo avevano mandato via. È arrivato da noi solo dopo una settimana dall’accaduto.

Anche se “grande”, P. ha un volto da bambino cresciuto forse troppo in fretta (per strada), e anche se considerato come potenzialmente pericoloso (diverse volte ha rubato anche da noi e in alcune comunità religiose vicine a noi), è in fondo un ragazzo molto dolce e buono.

Abbiamo cominciato a curarlo da un medico che gestisce una clinica privata poco lontano da noi che, dopo le prime cure, ci ha detto che poteva curarlo a condizione che ogni giorno andasse da lui per cure, medicazioni e controlli, e che seguisse la terapia da lui consigliata. E così abbiamo fatto.

Non voglio dire troppe parole, dico solo che oggi P. ha di nuovo il suo braccio che funziona normalmente. E questo grazie all’aiuto di chi ci sostiene in questa cordata di carità, perché con i nostri soli mezzi non avremmo mai potuto far fronte a tutte queste spese. Tempo fa lanciammo un SOS per questi casi “estemporanei” chiamando il progetto: “la cassa di Elia” e veramente tante persone hanno risposto e ci stanno permettendo di fare ancora miracoli.

Lui non fa che ringraziare continuamente. Non ha altro modo per farlo se non dirlo. Noi non possiamo che far rimbalzare questo grazie a tutti voi aggiungendovi la nostra piccola preghiera. Il Signore saprà centuplicare a modo suo ogni goccia data per il più piccolo dei suoi fratelli.

Durante il suo trattamento abbiamo aiutato anche la sua compagna a raggiungere la sua famiglia di origine (a Kinshasa) insieme al bambino sperando in una sorte migliore. Se P. sarà in grado, li raggiungerà e magari ricominceranno insieme tentando ancora di farsi posto in questa società – jungla che non lascia scampo a chi è povero.

Noi gli auguriamo il meglio, lui è troppo grande per stare al centro e inoltre deve far fronte agli obblighi verso la sua compagna e verso i suoi figli. Lo aiuteremo se e come sarà possibile e in ogni caso, lui lo sa, per i momenti di crisi, noi siamo qui, noi e voi, a “Ndako ya Bandeko” (la casa dei fratelli).

fr Adolfo