Lettera di fr Andrea Frigo
Sapete…
Un po’ mi fa impressione sapere che questa è l’ultima ”lettera dall’Africa” che inviero’ (almeno per un bel po’ di tempo…). Sento da un lato la responsabilità di non voler dimenticare nulla di importante per voi che siete in Italia, dall’altro la totale inettitudine nel tirare le fila di quel che è e che succede qui’, e del quale le mie lettere finiscono per essere una sciapa e insufficiente deformazione.
Oggi ho chiamato per pochi minuti una mia cara amica e sorella nella fede che è in Italia e che sta vivendo il periodo del probandato tra le Clarisse di Carpi. Proprio durante il suo periodo di prova della vita religiosa, il terremoto dell’Emilia è venuto a cambiare ulteriormente la vita sua e di tante altre persone. Parlando con lei, proprio quando io mi chiedevo dove fosse veramente la missione (se qui in Congo o tra le macerie fisiche e psicologiche di quei luoghi), lei mi ha chiesto a bruciapelo: ”Dai dimmi quali sono i frutti di quest’anno, almeno uno!”.
Il primo pensiero è stato che alcune persone hanno davvero la capacità di cogliermi di sorpresa. Il secondo è stato che non ne ho la minima idea. Il terzo che se c’è una cosa che porterò a casa è un allargamento di orizzonti.
Orizzonti fisici, perché ho visto luoghi selvaggi, paesaggi mozzafiato, villaggi che non sono immaginabili da una persona nata e cresciuta dalle nostre parti… Ho visto una natura sovrana che in poco tempo rimargina le ferite arrecate dall’uomo. Ho visto camion camminare contro ogni norma fornita dal costruttore e contro ogni principio della fisica. Ho visto fiumi bellissimi in cui fare il bagno e lavare la biancheria. Ho visto animali strani e vissuto malattie esotiche poco simpatiche. Ho visto il rigoglio della foresta e alberi dalle forme stranissime. Ho visto come una discarica può nascere tra le vie di una popolosa città… Ho visto e impresso nel mio cuori centinaia di volti stupendi, tutti riflessi della infinita cura creatrice di Dio.
Orizzonti umani perché ho vissuto per nove mesi come esigua minoranza di mindele (ovvero bianchi) in mezzo ad un mare di miindu (ovvero persone di colore). Ho provato cosa vuol dire vivere in un paese lontano, con una lingua incomprensibile, costumi diversi, usanze e consuetudini molto distanti dalle nostre. Ho provato cosa significa sentirsi guardare come un portafoglio ambulante ed essere visto come un deturpatore della ricchezza congolese. Ho assaporato la povertà linguistica, culturale, di mezzi e di parole. Ho vissuto in un luogo in cui la chiesa cattolica non è ne l’unica, ne (spesso) la più accreditata, un luogo in cui prima di condividere la fede tocca avere molta pazienza e condividere i doni della fede. Ho visto come bambini di pochi anni sappiano cavarsela da soli, spesso prendendo anche la responsabilità dei più piccoli di loro. Ho visto come la malattia possa atterrire e distruggere l’uomo, e come l’ignoranza sia forse la peggiore di tutte le malattie. Ho visto quanto grandi possano essere le ferite arrecate dall’ignoranza, e quanto desiderio di riscatto e di amore sia contenuto nel cuore di ogni uomo. Ho visto il dramma dei ragazzi di strada, la loro sofferenza, il loro bisogno di una figura di riferimento umana matura e responsabile. Ho desiderato essere davvero uomo per consentire ad altri di esserlo.
Orizzonti psicologici perché ho assistito alla forza di persone che hanno una grande speranza nella vita, che sanno accontentarsi di quel che la vita gli riserva (e che noi definiremmo ”poco”), che non si atterriscono di fronte alla fatica, alla fame, alla malattia, alla povertà, ma sanno sempre sperare nella vittoria della vita sulla morte. Ho visto la bellezza del legame familiare, che supera le anguste dimensioni della famiglia ristretta per accogliere tutto il clan in una solidarietà veramente grande…
Orizzonti spirituali perché qui la fede è davvero sollecitata, messa alla prova, minata alle sue basi più profonde. Ho intuito ancora di più come Dio sia Dio di tutti gli uomini, e quanto sia facile e pericoloso ritagliarsi un dio su misura e pregare quello… Quanto Dio ci chiami a cercare insieme ad altri la verità e quanto abbia promesso di rivelarsi a tutti gli uomini, ma specialmente ai più piccoli e ai puri di cuore. Ho sperimentato la paura dello sconosciuto, lo sfinimento della malattia e la fatica di amare ciò che non è facilmente amabile: la miseria e il peccato e la deformazione. Eppure lì ho intuito che Dio Padre mi stava conducendo per farmi un dono grande, il più grande che potrei desiderare ovvero la capacità di guardare la realtà e le persone e me stesso col Suo sguardo di misericordia infinita. Ho sperimentato la fatica di essere tra frati che non conoscevo, il desiderio di affidarmi a loro con tutto il cuore, la gioia di vedere le relazioni fraterne fiorire. Ho provato la fatica di stare in una piccola fraternità e di far collimare le nostre aspirazioni, ma anche la gioia di sentirmi accolto e stimato e amato gratuitamente e senza merito, e il desiderio di ricambiare a mia volta… Ho visto la ricchezza enorme di condividere la fede e di mettere insieme capacità e talenti a favore del Regno di Dio e della sua giustizia.
Se dovessi dire in una parola, credo che in quest’anno mi sia impoverito. Credo e spero di aver perso (volente o nolente) tante sicurezze, tanti preconcetti, tante ricchezze inutili e forse dannose. Forse sono un po’ più capace di incontrare l’uomo che è davanti a me e che è in me, anche quando non è come me lo aspetto e come lo vorrei. Forse, come dice padre Adolfo ridendo (ma probabilmente con serietà), in quest’anno mi sono davvero un po’ sciolto per accogliere il diverso da me.
È aumentata in me una gratitudine grande per la mia provincia, quella di Assisi, fatta di frati che hanno saputo tante volte donarmi la vita, testimoniarmi la fede e spingermi a scoprire e ad essere quel che sono, fino al punto di concedermi di vivere questo tempo in Africa, un tempo che mi ha segnato per tutta la vita perché ha impresso nel mio cuore una sollecitudine speciale per questa terra, per i ragazzi di strada, per tutti gli ultimi di oggi, di questo luogo e di ogni altro luogo. Benedetta allora la povertà economica, fisica, psicologica e spirituale, tutte le volte che ci spinge ad uscire da noi stessi, a incontrare il Dio di Gesù Cristo, che ha scelto la “piccolezza” di Betlemme per farsi carne e rendersi presente intrecciandosi indissolubilmente alla nostra storia umana…
Un ringraziamento davvero speciale a tutti coloro che in quest’anno dall’Italia mi sono stati vicini con la preghiera. Mai come in questo tempo mi sono sentito concretamente sostenuto da tutti voi, davvero. Grazie.
Preghiamo il Signore che mandi operai nella Sua messe, cioè che susciti anche missionari desiderosi di costruire insieme ad ogni uomo il Regno di Dio che è giustizia, pace e gioia nello Spirito.
fra Andrea